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(segue)
In
realtà lassassino, che si dichiara subito come tale, è
Mirko Principi, poeta fallito, bello e biondo, sciupafemmine che gira
in Cayenne, alloggia al terzo piano e nella testa sente i rumori di un
pubblico sempre pronto ad applaudire o fischiare le sue azioni. Sonia
Giannelli, zitella dalla lingua blesa, repressa e frustrata, che abita
con la mamma paralitica, si innamora di lui e gli si concede. Carlo Maria
Carletti, trentaduenne disoccupato, vive in famiglia, passa il tempo a
masturbarsi, perdere soldi a carte e rubare dai portafogli dei genitori.
Innamorato da sempre di Sonia, che tormenta con telefonate sconce, è
feticista, bugiardo e puttaniere. Di personaggio in personaggio, dai principali
ai secondari a quelli abbozzati anche solo di sghimbescio, ognuno caratterizzato
dai propri squallidi machiavellismi quotidiani, per una godibile sarabanda
di situazioni tanto reali quanto tragicomiche, destinate a mettere alla
berlina la vita di condominio, la mentalità di provincia, lItalia
dei concorsi letterari in cui tutti si credono scrittori e poeti, si arriverà,
attraverso un piano di trappole, pretesti ed equivoci, allinevitabile
resa dei conti e ad un epilogo tanto inatteso quanto sconvolgente.
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Brano tratto da "COSE SFIZIOSE"
Prologo
Il
capitano Salvatore Tamburo saliva le scale di corsa, seguito dallappuntato
Colasante. Malgrado lafa, il sudore che gli colava sui baffi era
gelido.
Non riusciva a capacitarsi che una cosa del genere fosse successa a Tolentino,
per di più nel condominio in cui aveva passato la prima parte della
sua vita; ed era toccato proprio alla poetessa, la dolce signora Emma,
che da bambino gli regalava sempre le caramelle.
Pensò con angoscia al fatto che suo padre stava lassù, al
secondo piano, ad aspettarlo per dirgli cosa fare; il copione si ripeteva,
come da quarantanni a quella parte. Solo che stavolta cera
di mezzo il morto e il tanto stimato maresciallo Natale Tamburo era ormai
un borghese. Salvatore arrotò i denti in quel tic nervoso che aveva
da sempre. No, non sarebbe mai riuscito a invitare quel genitore invadente
ad allontanarsi dalla scena del crimine. Come avrebbe potuto, lui che
per andarsene di casa aveva dovuto sposare la prima che gli era capitata?
Ancora pochi gradini e sarebbe arrivato.
Quando gli si aprì davanti il pianerottolo del secondo piano, si
fermò di scatto. Il padre stava in paziente attesa di fianco alla
porta, con il capo chino e le dita strette sul pomolo del bastone da passeggio.
Accanto a lui, Ugo, lomino delle pulizie, sedeva sopra un secchio.
Era scosso da un tremito incontrollabile e continuava a strizzare lo straccio,
incurante della pozza dacqua sporca tra i piedi.
- Babbo disse, con un filo di voce.
- Buongiorno, maresciallo salutò Colasante.
Il padre alzò lo sguardo da terra. Vai dentro, Salvatore
sussurrò, indicando con un cenno della testa luscio
aperto.
Il capitano annuì. Si diresse deciso verso lappartamento
della maestra in pensione Emma Latini Bonavoglia, e una volta entrato
allungò una mano verso linterruttore della luce.
- Hanno staccato il generale di sotto, Salvatore. Non lho riattivato
per non inquinare le prove.
- Molto bene, babbo. Ci avrebbe scommesso lo stipendio di un anno:
il padre, prima di avvisarlo, era andato mettendo il naso dappertutto.
- Sta in cucina. Fai attenzione, tutte le tapparelle sono abbassate.
- Tu rimani qui? Salvatore Tamburo si avviò lungo la elle
del corridoio senza aspettare la risposta; arrotava i denti così
forte da temere di scalfirne via qualche pezzo. Laria era pervasa
da uno sgradevole odore di arrosto, mentre una specie di ronzio lacerava
la penombra.
Appena svoltato langolo intravide un corpo disteso a terra, proprio
sotto larco della cucina. La torcia, Colasante ordinò,
brusco, al collega.
- E rimasta in macchina, comandante.
- Bravo, coglione.
- Ma sono le 10.00. Non pensavo... se vuole...
- Lascia stare. Ormai ci siamo.
Quando raggiunse il cadavere, Salvatore Tamburo si rese conto che era
proprio quello la fonte del ronzio. Cosa diavolo... farfugliò,
chinandosi. Ma non è la signora Emma. - In quel momento
un fascio di luce lo colpì in pieno viso. Porca puttana!
esclamò, riparandosi con lavambraccio.
- Guarda, Salvatore.
La luce della torcia si spostò verso il basso, e Salvatore, ubbidiente,
guardò: ai suoi piedi cera un bambolotto nero di plastica
gonfiabile ad altezza naturale, con indosso solo un giubbotto di pelle
da motociclista; aveva la lingua in fuori e un enorme pene eretto che
vibrava instancabile.
Il padre restituì subito al buio il finto cadavere e illuminò
il centro della cucina.
Emma Latini Bonavoglia stava seduta su una poltrona, con la nuca appoggiata
alla spalliera; aveva in grembo Amadeus, il suo chihuahua, e gli poggiava
una mano sulla testa nellatto di accarezzarlo.
Il capitano Tamburo si rialzò e seguì la scia di luce come
un automa. Quel maledetto ronzio gli impediva di pensare: la sua mente
aveva partorito limmagine di unenorme sega che gli tagliava
il cervello in tante fette.
Lodore di arrosto opprimeva lintero ambiente: acre, fastidioso,
penetrava nel naso e si insinuava su fino agli occhi, facendoli lacrimare.
Quando fu davanti alla poetessa, si portò la mano alla bocca e
trattenne a stento un conato di vomito: la donna, vestita come al solito
con un lungo abito nero, aveva un taglio orizzontale che le attraversava
tutto il collo, appena sopra la collana di perle che era diventata completamente
rossa; gli occhi sbarrati fissavano il soffitto, mentre un ghigno le deformava
il volto. Amadeus, invece, giaceva cotto a puntino su un vassoio colmo
di cetrioli tagliati a fette, con una carota infilata nellano e
uno spicchio di limone in bocca.
- Vergine Maria! esclamò Colasante.
Salvatore Tamburo si voltò lentamente verso la luce. Lha
trovata Ugo, non è vero? chiese, dopo essersi schermato
gli occhi con una mano.
Il padre abbassò la torcia e la puntò di nuovo sul pupazzo
nero, inquadrando il fallo che non dava segno di voler smettere di ronzare.
Per lui sarebbe stato facile procurarsi un coso di questi. Molto
facile.
- Già. E sempre là?
- Puoi scommetterci. Gli ho ordinato di non muoversi.
- Vado a interrogarlo.
- E inutile, Salvatore. Ci ho già provato io.
- Babbo, è il mio lavoro.
Natale Tamburo non rispose, ma si lasciò sfuggire un sorrisetto
di commiserazione.
Il capitano finse di non accorgersene e si avviò a lunghe falcate
verso luscita. Per quanto si sforzasse, il digrignare dei denti
era sempre più fuori dal suo controllo. Ugo chiamò,
quando fu fuori dallappartamento.
Lomino delle pulizie, che se ne stava sempre seduto a strizzare
lo straccio, sollevò il testone glabro. Una lacrima gli si era
fermata sullenorme porro sopra lo zigomo sinistro, facendolo luccicare
alla luce del sole. Povera poetessa balbettò.
Era tanto buona. Mi faceva sempre il caffè.
Salvatore Tamburo distolse lo sguardo da Ugo. Quegli occhi esageratamente
chiari che non si sapeva mai dove guardassero gli procuravano un disagio
insopportabile. Te laveva preparato anche oggi?
- Non lo so.
- Come, non lo sai?
Ugo si asciugò la lacrima sopra il porro e rimase in silenzio.
- Insomma, ti ha invitato a entrare? insisté il capitano,
cercando di mantenere un tono di voce tranquillo. Sapeva che se quellomino
deforme con il cervello di un adolescente si fosse spaventato, addio possibilità
di tirargli fuori qualcosa.
- Era tanto buona.
- Lo sappiamo. Ce lhai già detto. Adesso rispondi alla mia
domanda, per favore.
Lomino delle pulizie si strinse nelle spalle. La porta era
aperta. Ho chiamato. Non rispondeva nessuno.
- Allora sei entrato?
- Non si vedeva niente. La luce non funzionava. Seguitavo a chiamare e
andavo avanti. Poi... Ugo scoppiò a piangere a dirotto e
si portò lo straccio nero alla faccia.
In quel momento si udì un suono di sirena provenire dalla strada.
Natale Tamburo mise una mano sulla spalla del figlio. - Devessere
la scientifica da Macerata.
- Hai ragione, babbo ammise il capitano Tamburo, a malincuore,
indicando Ugo. - Sono sicuro che hai visto giusto pure stavolta.
- Sarà il caso di valutare anche la posizione del geometra Di Cataldo:
è lamministratore, impossibile che non sappia nulla. Magari
erano daccordo.
(...)
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