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Brano
tratto da
"QUADRO
A RETE"
(...)
La torcia
illumina il dorso di Cheri che si è avventurata lungo il corridoio,
la donna solleva le borse, accosta il più possibile la porta di
ferro allo stipite, raggiunge la gatta e insieme seguono il cono di luce.
Jo nutre il timore che la luce della torcia si stia indebolendo; si ferma
e ispeziona affannata le altre due riposte allinterno della borsa
da trasporto del gatto
Sono scariche.
A quel punto, Jo vorrebbe desistere e ritornare verso la luce amichevole
dei lumini rossastri, ma la gatta è sparita al di là della
svolta. La ragazza la chiama, la insegue e si trova dinnanzi a una biforcazione.
Sul muro spiccano due indicazioni sbiadite, a caratteri enormi, in grassetto,
simili a quelli che una volta contraddistinguevano i muri delle vecchie
fabbriche; quella con scritto cappella conduce a sinistra, e Jo distingue
dei gradini in salita.
Laltra invece porta a deviare leggermente sulla destra ed è
composta da due parole: la prima è Certosa, la seconda
Monumentale.
Jonella, concentrata a visualizzare ogni particolare, non crede ai suoi
occhi e respira profondamente
Ripensa ai racconti di sua sorella,
maggiore di lei di quasi ventanni: quandera unadolescente,
per necessità di famiglia, Irene era stata rinchiusa tre anni come
interna in collegio a Parma, in un palazzo antichissimo, dove, in occasione
di alcune festività, venivano organizzate avventurose cacce al
tesoro.
Le collegiali, munite di torce e divise in drappelli, potevano scendere
nei sotterranei. Lungo litinerario, illuminato da fiaccole nei crocevia,
si scorgevano ingressi di gallerie buie, sbarrati da robusti cancelli
di ferro muniti di serrature adatte alle enormi chiavi tipiche degli edifici
vecchi di secoli.
Allimbocco di tutte le gallerie e dei relativi cancelli, sulle pareti
imbiancate a calce, le educande potevano leggere, sempre in nero e in
stampatello, lindicazione dei luoghi cui conducevano: Palazzo Ducale,
Duomo, Battistero, Palazzo dellUniversità, Ospitale
La madre portinaia portava dabitudine un mazzo di chiavi appeso
alla cintola per consentire laccesso allaltana, alla sala
del televisore, del teatro. Invece le chiavi dei sotterranei non venivano
custodite in portineria: le teneva in consegna la madre superiora in persona,
nascoste in un luogo segreto.
Un tempo, quelle gallerie costituivano un sistema di comunicazione che
consentiva fughe strategiche, oppure offriva ai malintenzionati un mezzo
ottimale per nuocere.
La portinaia asseriva che pertanto nel corso dei secoli quei cunicoli
erano stati tutti murati: infatti laria là sotto odorava
di chiuso e le torce ardevano con difficoltà. Se fosse dipeso da
lei, avrebbe proibito di accenderle, e di correre rischi in stupide cacce
al tesoro.
Ma la Superiora aveva conseguito due lauree, amava le feste e impressionare
le menti immature di ragazzine già inclini di loro a eccessive
fantasticherie!
La portinaia agitava lenorme anella con appese le chiavi, e Irene
ascoltava rapita commenti e racconti di quella suora anziana, una specie
di nonna severa nei confronti delle educande; più avanti nel tempo,
Irene li aveva tramandati alla piccola Jo, la sorellina arrivata a sorpresa.
Dopo il matrimonio Irene era andata a vivere a Porto Maurizio, in Liguria.
Jonella la incontrava soprattutto destate, quando i suoi genitori
partivano abitualmente con i soci del loro circolo per il viaggio annuale,
cui non venivano ammessi figli e nipoti.
Per Jonella si trattava del periodo più atteso e intenso dellanno.
Da Milano la bambina si trasferiva nel borgo di mare sulla collina, sua
sorella era in ferie, a disposizione, e ogni anno Jo le chiedeva di rinnovellare
i lontani trascorsi da collegiale: la sorellina, abituata a vivere in
appartamento in città, era affascinata dai particolari, ogni volta
più ricchi, che riguardavano il vecchio palazzo, corridoi, sale
e salette, refettori, camerate
E, soprattutto, i sotterranei.
Jonella ripensa alla permanenza di Irene in collegio: quando la torcia
era scarica, per attraversare la camerata e recarsi in bagno, la ragazzina
era costretta ad accontentarsi del lume tremulo di una candela.
Per la prima volta Jo trova la forza di sorridere su ciò che le
sta capitando: non esistono reali pericoli. È sufficiente usare
una certa cautela e immaginare di partecipare a una caccia al tesoro un
po solitaria ma originale, organizzata dal caso; il premio consiste
nel guadagnare luscita dal cimitero senza incappare in grane legali
o pagare una multa considerevole.
Jo è più rilassata, poi vede la gatta riemergere di corsa
dal buio, oltrepassare il cono di luce proiettato a terra, correre verso
i gradini in direzione della cappella, infine salirli altrettanto di corsa
scomparendo nuovamente alla vista.
La ragazza quasi si arrabbia: Carolina è troppo imprudente. Le
starebbe dincanto trovare laccesso sbarrato, nello scendere
andrebbe senzaltro più adagio!
Per prudenza, Jo decide di abbandonare quanto prima quelle stupide scatole
scariche e di ricoverare con urgenza la gatta allinterno della borsa
di stoffa.
Lungo la scala la torcia illumina ancora abbastanza nitidamente i gradini
che salgono; a giudicare dal dislivello fra il sottosuolo e laltezza
del pavimento della cappella, la ragazza pensava che fossero molto più
ripidi.
Dopo aver superato due pianerottoli ad angolo Jo scorge la gatta che aspetta
impaziente in cima allultima rampa; la ragazza si affretta a salire.
Nel deporre a terra la torcia per accingersi ad afferrare la gatta, illumina
una seconda porta, la cui maniglia si abbassa con facilità; Jonella
entra nel retro della cappella e riconosce il locale che funge da sagrestia.
Nel fondo, su un tavolino dove è collocato il registro per prenotare
le messe commemorative, la lampada da tavolo è accesa
strano!
Mentre non se laspetta, Jo finalmente agguanta la gatta da sotto
la pancia, poi, incurante del soffocato miagolio di protesta, la rinchiude
subito nella borsa già aperta a terra: vista la luce accesa, Jo
preferisce ispezionare lambiente da sola.
Dai battenti socchiusi della porta di separazione si scorge il chiarore
dei lumini votivi accesi allinterno della cappella, tutti elettrici.
Ma Jonella è sicura che poco prima, quando era allesterno
e si dissetava alla fontanella, dalle molteplici finestrelle a feritoia
inserite vicino alle porte dentrata non trasparisse la minima luce.
La ragazza si accosta quasi in punta di piedi alla porta di separazione
con la sagrestia, la apre a metà, ma la luce dei numerosi lumini
accesi alla sua destra le impedisce la visuale completa dellinterno
della piccola chiesa.
Si tratta di un unico ambiente a forma ovale nel fondo, privo di confessionali,
che creerebbero zone dombra aggiuntive; continuando la perlustrazione,
Jo si accorge dellesistenza di un grosso fagotto posizionato allinterno
di uno dei banchi con gli schienali a parete addossati allintero
perimetro oltre laltare.
Guardando ancor meglio, Jo capisce che il fagotto in realtà è
una persona seduta e vestita di scuro, col cappuccio che copre e cela
la testa chinata.
La figura resta immobile, mentre dal fondo del banco sta sbucando qualcosa:
sono occhi, puntati verso di lei
Appartengono a un muso di cane,
che si è alzato e si dirige nella sua direzione.
Man mano che lanimale si sta avvicinando, la ragazza si irrigidisce,
avendo cura di rilasciare le braccia e mostrare le palme delle mani aperte;
il cane le si ferma davanti, non sembra aggressivo.
È un vecchio pastore belga color pepe e sale, dal muso punteggiato
di peli bianchi e dagli occhi leggermente velati di chi è molto
anziano.
Il cane scopre i denti senza ringhiare e Jo intuisce che lanimale
a suo modo le sta sorridendo; scodinzola e le fiuta le mani con insistenza,
sentendo di certo lodore del gatto.
Infatti alza il muso e lolfatto lo guida nel locale oltre la porta,
dove il cane si accosta guardingo alla borsa da cui Carolina ha iniziato
a emettere un minaccioso brontolio di avvertimento.
Jo si è ripresa dallo spavento e si è voltata; appena in
tempo per veder comparire dalle fessure della griglia di stoffa una zampetta
chiara, bordata di nero e con gli artigli spianati. La gatta colpisce
il cane sul naso, e il cane compie un balzo allindietro emettendo
un acuto guaito.
Subito dopo, il legno del banco scricchiola, poi si sente cadere qualcosa;
dietro le spalle, Jonella ode avvicinarsi dei passi, insieme a un cadenzato
rumore metallico.
La figura vestita con un saio scuro ha calato il cappuccio e si inginocchia
di fianco al pastore toccandogli il muso. «Mio povero Dylan, coraggio,
fammi vedere... no, no, si tratta di un graffietto da niente, è
sufficiente disinfettare; e lei, mi vuole spiegare come diavolo ha fatto
a introdursi qui dentro
a questora?». Dallinterno
della borsa di stoffa Carolina continua a emettere gnaulii furibondi,
luomo allunga un braccio e con cautela avvicina la mano alla fonte
di tanto rumore.
«E per quale motivo tiene un gatto rinchiuso? Sembra una belva.
Il mio cane è libero, e mansueto. Non mi risponderà che
è per rispetto del luogo! Lei ha voluto introdurre lanimale
nel cimitero, contro la legge. Il cane per me è indispensabile,
mentre non credo che un gatto le possa servire da guida
Adesso mi
spiegherà».
Luomo si rialza, si raddrizza, è altissimo. Il cane si limita
a respirare affannato, con la lingua a penzoloni. La gatta si ostina imperterrita
a emettere i suoi brontolii e Jonella capisce che luomo deve avere
problemi alla vista: in quel volto, piacevole nonostante i tratti severi,
i grandi occhi color marrone scuro, quasi nero, appaiono fissi e inespressivi.
Che strano, quelluomo è un religioso, eppure, per intercalare,
ha detto come diavolo, e ha anche invitato il suo cane, che
non è lusuale pastore tedesco, a lasciargli vedere
il graffio sul naso
Saranno dei lapsus, a causa dellagitazione,
oppure quelluomo era frate e anche cieco da poco tempo, perciò
non aveva ancora perduto le vecchie abitudini nel modo di esprimersi.
Dallabito si può e si deve dedurre che quelluomo è
un frate, sembra cieco davvero perciò la ragazza vuole fidarsi.
«Padre, è molto semplice, mi è sfuggito lorario,
cè in corso uno sciopero e il lucchetto della porta dingresso
dai sotterranei era aperto; quanto al gatto, mi dispiace, ho trasgredito.
Ma solo a metà, infatti lavevo rinchiuso dentro la borsa.
Avrei voluto avvisare qualcuno, però il cellulare mi si è
scaricato; lei Padre, piuttosto, dovrebbe chiudere meglio. Da sotto potrebbe
entrare chiunque. E poi, a questora, perché se ne sta al
cimitero e invoca il diavolo in chiesa?».
Jonella arrossisce: pur di non ammettere uneventuale parte di torto
sta facendo la predica a un uomo che dovrebbe essere un frate, e in quanto
tale, in quel luogo, avrebbe il pieno diritto di adirarsi con lei.
Luomo non si altera, al contrario ride. «Il mio nome è
Padre Luciano, e il suo
? Ah
bel nome, predispone a sperare
di trovarsi di fronte a una persona gioviale.
E che cosa conta di fare? Dica, non abbia timore
(...)
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