temalibero
 
 

 

 

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... e di Angela Franchella leggi anche "L’Amore ritrovato - Esta vez será para siempre".

titolo: "Anna Banti, tra il silenzio e il grido. (Percorsi esistenziali e di scrittura)" - Introduzione di Vito Moretti.
collana: temalibero
autore Angela Franchella
ISBN 978-88- 97424-96-3
€ 18,00 - pp.400 - © 2014.


Rilettura critica dell'intera produzione bantiana.

Tra passione e violenza, tra buio e luce, tra presenza e assenza, tra arte e visione, tra voce e silenzio, si muove il flusso ininterrotto del sentire bantiano, la forza imperiosa e superba di un vissuto che stravolge la pagina, facendola grondare di inquietudini mai pacificate, di ossimori profondi e laceranti che frugano l'oscuro della coscienza riportandone in superficie relitti mai dissepolti in precedenza, lasciati lì, immobili e silenti, consegnati al lettore come istantanee, sottratti al magma del tempo e inchiodati sulla carta.

 


Passione e violenza mi sembrano, a ragione, i due poli verso cui tende la produzione bantiana, pur se ampliandosi a comprendere al proprio interno una ben variegata gamma di sentimenti, dal silenzio a-temporale della follia, (che spesso accomuna moltissime delle eroine bantiane), fino a quella cieca perseveranza, mista di orgoglio e ostinazione, che pure caratterizza i personaggi della scrittrice, portandoli spesso sul baratro della nevrosi, (follia e testardaggine estrema sono dunque strettamente legate, se non quasi “interscambiabili”, in questo mondo a tinte fosche che la Banti ama tratteggiare integralmente nelle proprie storie), dell'isolamento e perfino della morte, (laddove la morte per la Banti non è solo intesa come fine ontologica del proprio Esser-ci al mondo, ma anche, e soprattutto, come voluto e masochistico autolesionismo distruttivo che, nell'agonia di giorni sempre identici e a-significanti, spesso ingloba in un unico e terribile tempo mitico e a-storico, dilatato all'infinito, le esistenze, miserevoli, di queste anime di cartone, con cui pure la scrittrice pare soffrire compartecipando al loro muto dolore). È dunque solo attraverso una rilettura critica delle opere bantiane, che è possibile pervenire al fondo della poetica della scrittrice, a quel grumo denso di ansie, insoddisfazioni, dolori, lacrime, gioie e vittorie, che, in una sorta di memorabile testamento spirituale, la scrittrice ha lasciato in eredità a noi, lettori di ogni tempo”.

(Angela Franchella)

 


Dall'Introduzione di Vito Moretti:


Anna Banti, come altre della sua complessa stagione novecentesca, non è scrittrice che si presti ad un approccio frettoloso ed ingenuo o ad un’analisi convenzionale e di scorcio, per la cospicua significazione letteraria dei suoi testi e per la vasta gamma delle problematiche ideali e storiche che i suoi scritti recano al giudizio del lettore, oltre che per la pregnanza dello stile, per la esemplarità dell’espressione e per i tratti magistrali della scrittura, riconoscibili ancor più oggi, nella frigida e sciatta ridondanza della letteratura contemporanea.
Personaggio, dunque, dai profondi dettati e dalle molteplici tramature, fedele a un’idea di romanzo che impegna i labirinti della coscienza e gli snodi dell’umano destino per una ipotesi di verità che illumina gli orizzonti dell’essere, le oscurità che fanno smarrire, i fuochi che sanno di mistero e le ostinazioni che hanno l’abito del testamento e del dolore. E di tutto questo, per dote di sensibilità, è ben consapevole Angela Franchella, scrittrice in proprio, che affronta e ripercorre l’esperienza della Banti con la passione della stessa autrice e con una strumentazione critico-filologica che, certo, non è mancata ad altri interpreti, sia recenti che meno recenti, ma che in lei ha il valore di una risorsa fruttuosa, di una modalità conoscitiva con cui dar vigore, sulla pagina, a spunti riflessivi, a intuizioni balenanti, a sintonie implicite, fino ad accompagnare il nostro sguardo nei solchi tracciati dalle sue medesime parole e dalle sue stesse, acute osservazioni: un percorso ermeneutico alacre e avvincente, che solo in parte è riassunto dalla nota di premessa e che consegna, in realtà, un profilo a tutto tondo della Banti, un’immagine della scrittrice ancorata puntualmente ai suoi libri e alla cronologia dei suoi anni e del suo lavoro, come pure alle tante incomprensioni che le impedirono di spezzare la marginalità della sua presenza, in una società sopita nei propri formalismi e nelle proprie angustie e per ciò sorda a quel dire autentico e nuovo che le giungeva dalle opere bantiane, a partire dalle prime prove, Itinerario di Paolina, del 1937, e Il coraggio delle donne, del 1940, e soprattutto da Artemisia, il cui manoscritto, perduto a Firenze nei frangenti della guerra e riscritto a pace ristabilita, fu dato alle stampe nel ’47 proponendosi subito come un vertice della geografia letteraria di allora e degli anni successivi, eguagliato poi da altri romanzi e libri di racconti.
La Franchella, dunque, restituisce la scrittrice al suo ruolo di testimone e di interprete di un bisogno di umanità e di giustizia che trovava nelle donne, tradizionalmente sconfitte e tacitate, i soggetti di una storia rarefatta di dolore e di violenza, di provocazioni e di ricatti, di verità nascoste e di talenti traditi o rimossi; e ogni volta ella coglie, nella narrazione della scrittrice, le ragioni autobiografiche, le urgenze morali, i tratti di un’autocoscienza che si raccolgono via via in un unico, ampio territorio, dove tutto sembra dilatarsi, lacerarsi al di là del tempo, piegarsi ad un’agonia fisica e psicologica e infine assumere, emblematicamente, quel “grido” che marca l’ultimo titolo dei romanzi bantiani (Un grido lacerante, 1981); e così il femminismo, che pure conserva la sua tangibilità realistica, si fa propriamente, nella lettura fornita da Angela Franchella, umanesimo, vocazione a costruire la vita coniugando passato e futuro, acquisto di forza e virtù, e mira – in ultima istanza – a riannodare fili, a colmare lacune, a dar vita e legami a creature perdute nel dramma della storia e nelle spoliazioni delle loro amare esistenze, secondo una prospettiva che forse giunge alla scrittrice anche dalla sensibilità e dall’impostazione “filosofica” di Roberto Longhi, suo professore a Roma e marito dal gennaio del ’24: una intellettualità che non sosta mai ai livelli superficiali e ritualistici dei fatti né che si avvale – come i più – del senso comune, ma che si fa occasione di approfondimento e tema di riscatto, di chiarezza e di moderna disillusione, affinché il “brutto” non giunga mai ad usurpare l’intero spazio della memoria, dei desideri e della personale identità.
Per questi aspetti, la monografia di Angela Franchella va accolta come un contributo fondamentale e come un’indagine che rimette legittimamente in gioco, nell’orizzonte della nostra contemporaneità, l’esperienza di una scrittrice dalla forza di rappresentare senza pari le ragioni di una disubbidienza e di una alternativa alle scelte di gusto e ai presupposti culturali ed estetici del romanzo di metà Novecento, con un vigore di giudizio, peraltro, e con una argutezza critica che risultano formalmente ineccepibili e persino ammirabili.


 

Angela Franchella, nata a Ortona (Chieti), è laureata in Lettere a pieni voti presso l’Università degli studi G. D’Annunzio. Ha conseguito la specializzazione per l’insegnamento secondario presso la S.S.I.S. “Raffaele Laporta” e un Master in Redazione Editoriale, oltre ad aver frequentato vari corsi di perfezionamento attinenti la propria classe di concorso; da sempre appassionata di letteratura, poesia e arte, attualmente insegna materie letterarie presso l’Istituto Card. M. Barbarigo a Roma, facendo convivere la passione per la scuola con un Amore viscerale per la scrittura, intesa come profonda illuminazione e rivelazione di Sé.
Scrittrice di poesie, narrativa e articoli, Angela Franchella ha pubblicato la raccolta di poesie “Il sorriso del silenzio”, (Ennepilibri, 2007) e il romanzo “L’Amore ritrovato - Esta vez será para siempre”, (Cicorivolta, 2012).