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titolo:MADRIGALE
collana i quaderni di Cico
autrice Valentina Santomo
ISBN 978-88-95106-18-2
© gennaio 2008 - € 11,00 - pp. 117
in copertina,
olio su tela by ANIMO, adattamento grafico, di Phab Postini


Madrigale è l'impulso originario. L'atto successivo è quello di raccogliere secchiate di memoria, per comunicare il senso profondo dell'essere, della carne, della materia e del vuoto vivo che non si può altrimenti descrivere, per arrivare a comprendere (senza per questo giudicare) i perché di una e di cento esistenze. Ciò che ne scaturisce è un clima dal piglio drastico e indulgente, paradigmatico e svincolato dall'evidenza immediata.
L'anima è un vaso. La madre ha occhi verde uva. E Caino è padre. La nonna è semplicemente Lupa. Leone partì innocente e tornò veterano. Paolina corrisponde a una Penelope di serie b. La famiglia, la città di provincia, la storia passata, sono rivisti attraverso molti filtri; uno slittamento di livelli che conferisce all'impatto narrativo valenza di favola predestinata, di eterno cammino per raggiungere strade, cose, persone, verità. Nel fiume delle immagini, si incontrano personaggi veri e appartenenti a una dimensione universale, soprattutto donne, di ogni tempo, viste talmente a nudo da risultare trasparenti. Non è un romanzo, né un racconto breve o una filastrocca. E allora cos'è? Valentina Santomo risponde: "Immagino il madrigale come la parte di un arazzo dal ricamo fitto e coloratissimo. Alcuni fili arrivano da lontano e saranno gli stessi a ricamare l'ultimo elemento."


 

C’è un modo altro di narrare Epica Quotidiana, lasso di Tempo, furore e sconvolgimento di Anni e di Vita, di Donne, Uomini e Figli?
Se c’è un altro modo di fare questo, è probabile che tragga spunto da MADRIGALE.

Un libro particolarissimo. Una serie di nodi. Una serie di micce accese molto, ma molto, delicatamente.

 

"Madrigale è il manifesto anarchico di un donna, la matrice apolide/cosmopolitana/alata che simbolizza il fiammifero nella notte e tutti i vaggiti, bagliori successivi e simboli e trasposizioni equivalenti fino all'alba e fino all'evidenza luminosa dell'Io: perno immarcescibile della vita, fra orizzontalità terrestre, verticalità del cielo e ubiquità del tempo; laddove il senso del sacro e del profano si perdono e pure coincidono sempre, fatalmente, con la presa di coscienza spazio-temporale dell'Individuo/Uno." (Paolo West)
 

(brano tratto da "MADRIGALE")

(...)

Vorrei, a questo punto della storia, parlare di amore.

Dopo tutti questi secoli di uomini e donne, coi loro figli, i loro peccati, le passioni sterili e le fertili lontananze, non riesco a dire quanto sia e perché sia, amore.
Non mi stupirei se alla fine mi dovessi costringere a nominare amore l'ultimo dettaglio, il lumino più debole, la lucciola nella siepe.
Perché, invece di chiamare a raccolta i fanti e la cavalleria dei sentimenti, non si prova a raccontare le retrovie e le sentinelle di azioni forse ben più ardite?
Che Paolina si sia macerata di passione per il condottiero corso è ormai vicenda nota, ma cosa ne sarà stato di quella povera ragazza in crinolina che tutte le sere lustrava gli stivali dell'imperatore intingendo lo straccio nelle proprie lacrime anziché nel lucido da scarpe?
In tutte le nostre vite c'è, rannicchiata in un cantuccio, una Penelope di serie b, la cui storia non è ritenuta degna degli onori della cronaca.
Nella mia famiglia, all'ombra di Leone e spina, di rosa e l'alchimista, di Caino e mamma uva, e tanti altri di cui forse avrete la pazienza di sapere, si annida il ricordo di Penelope Piccola.

Di lei si potrebbe raccontare in un punto qualsiasi della vicenda, giacché la sua lunga vita si stese da un capo all'altro di questa storia.

Una mattina d'inverno si presentò al cancello del giardino.
Leone la vide, e la scambiò per una bambina che aveva smarrito un gioco al di là della siepe. Quando aprì i battenti trovò una coppia di occhi lucidi sull'orlo della disperazione. Cercava lavoro e un tetto, una casa e magari una famiglia, un posto per far nascere il figlio bastardo dentro di lei.
Leone la guardò, e si rese conto che nel suo giardino, oltre all'opulenza di rose ed ortensie, ci sarebbe stato posto anche per una povera margherita.

Di vita non ce n'è una sola.

Non so quale sia la misura, la quantità o il grado che possa descriverla.
Eppure percepisco che esistono ampiezze di vita.

Un uomo ama e viaggia per quasi cento anni.
Una tartaruga si nutre, si accoppia e si riproduce innumerevoli volte per quasi trecento anni.
Un albero si accresce e respira per fotosintesi per un numero di anni pari ai cerchi del suo tronco, a volte più di mille.
Insetti frenetici nascono, si nutrono, crescono, si riproducono e muoiono dall'alba al tramonto di un solo giorno.
E non riesco a convincermi che il sasso che stringo nella mia mano non possa dirsi vivo.
Penelope visse a lungo, piccola e nascosta. In un angolo ombroso di un piccolo giardino.

(...)

 

 
Valentina Santomo, nata e cresciuta a Pescara, viaggia molto e spera quindi, per i numeri del caso, di morire altrove. Conquistata un'ambita laurea in lettere a indirizzo storico artistico all'università di Firenze, pensa di poter fare il critico d'arte. Infranti i sogni a causa di un coriaceo verginismo intellettuale, preferisce il secondo mestiere più antico del mondo: la pubblicità. Dismesse le ultime vestigia di pudicizia, si dedica alla pittura, alla fotografia e alla carta/calamaio. Oggi cerca di vivere a New York facendo web design.