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titolo: "MILLE PASSI CONTROLUCE"
collana blocknotes
autore Valerio Baselli
ISBN 978-88- 97424-12-3
€ 12,00 - pp.150 - © 2012.


C'è Alex, che fa sogni a puntate. C'è Penelope, che non si è mai sentita all'altezza. Ci sono Antonio e Salvatore, amici stanchi di vecchi scontri. C'è Luca, che si sente al suo posto nonostante tutto. C'è Stefano, che ha tante domande ma nessuna risposta.


In questa antologia, scritta tra l'adolescenza e gli anni universitari, l'autore racconta dieci storie, dieci spaccati di vita, alternando pagine crude e dirette come un pugno ben assestato a momenti più riflessivi e intimistici.



leggi l'articolo Ercole Pelizzone sul Corriere di Novara
leggi l'ntervista di ART-LITTERAM a Valerio Baselli

SU HEAD IN WEB FRANCESCO D'AGOSTINO INTERVISTA VALERIO BASELLI

 

I personaggi che popolano questi racconti sono diversi ma tutti legati da un filo rosso: la ricerca, a volte disperata, del proprio posto nel mondo.

 

 

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Brano tratto da: "Mille passi controluce"

Il compagno e il camerata

Antonio Spinicci e Salvatore D’angeli sono cresciuti insieme. Entrambi figli di emigranti; salernitani i genitori di Antonio e calabresi quelli di Salvatore. Nacquero nello stesso fatiscente ospedale di Volpiano, in provincia di Torino. Era un freddo pomeriggio autunnale del 1956. Antonio e Salvatore videro la luce lo stesso giorno, a pochissimi minuti di distanza, separati solo da un paio di metri di calcestruzzo, crepata e decadente. Le rispettive madri non si conoscevano allora, pur essendo dello stesso quartiere. Si erano incrociate un paio di volte ma non avevano mai fatto amicizia. Durante gli anni seguenti, Antonio e Salvatore divennero inseparabili compagni di gioco. All’asilo comunale erano tra i bambini più vivaci. Gli scugnizzi, così venivano chiamati dalle maestre.
Il sig. Spinicci, padre di Antonio, era un ferroviere macchinista. Guidava i treni, e questo bastava ad Antonio per eleggerlo quale proprio eroe personale. Era venuto su da Salerno giovanissimo, appena sposato. Aveva dovuto lasciare la moglie giù, una volta passato il concorso in ferrovia. Una manciata di anni più tardi, era riuscito a trovare una casa appena decente dove poter vivere con lei. Non passò molto che nacque Antonio, primogenito di tre figli, tutti maschi. Vivevano in una decorosa povertà; non mancava mai da mangiare, ma certo non si sprecava nulla. I nonni provvedevano a spedire con regolarità pollame ruspante, verdure e olio d’oliva fatto in casa. Ai genitori di Antonio mancava la propria terra, ma cercavano di vivere nel miglior modo possibile la loro nuova vita. Superato il primo impatto, in cui il Piemonte appariva freddo e spietato, erano riusciti a farsi molti amici; la maggior parte dei quali meridionali, ma questo era anche dovuto al fatto che in ferrovia erano quasi tutti emigranti. Avevano un bel rapporto anche coi vicini di casa, torinesissimi, i quali, solo dopo aver fugato ogni possibile dubbio sull’onestà e sulla “voglia di lavorare” di questa colorata famiglia, iniziarono a instaurare un rapporto un filo superiore del “buongiorno” e del “buonasera”. Sempre dando del lei, naturalmente. Il sig. Spinicci era un sindacalista. Era uno di quei sindacalisti idealisti, senza appoggi politici e senza conoscenze; non a caso non fece molta strada all’interno della piramide del sindacato. Era conosciuto come uno dei più onesti a Torino ed era rispettato e stimato da tutti i suoi colleghi. Molti di loro dovevano al suo impegno e alla sua volontà di ferro il posto o tante conquiste raggiunte. Erano gli anni del boom economico e le famiglie proletarie si trasformavano lentamente nella piccola borghesia. Certo che questo passaggio era impossibile con cinque bocche da sfamare con uno stipendio da macchinista. Fin da piccolo Antonio accompagnava suo padre alle riunioni del sindacato. I ferrovieri erano la sua baby-sitter. Si sentiva al sicuro in mezzo a loro e gli piaceva l’atmosfera che si respirava, anche se a volte scoppiavano litigi e la gente cominciava a urlare e ad agitarsi. Durante gli scioperi, molto spesso, stava seduto a cavalcioni sulle spalle di suo padre e portava la bandiera rossa. Per lui era tutto un gioco e si divertiva come un matto. Poi, col tempo iniziò a capire. A sedici anni lasciò la scuola dopo esser stato bocciato in seconda geometra. Litigò aspramente col padre. Il sig. Spinicci sognava un figlio dottore o avvocato. Era ben conscio dell’importanza di avere un’istruzione, proprio perché era solo grazie al suo diploma strappato coi denti che era riuscito a diventare macchinista. Antonio, una volta lasciata la scuola, iniziò a lavorare come apprendista meccanico da un conoscente dello zio. Si sentiva uomo e gli piaceva. I pochi soldi che guadagnava li consegnava interamente alla madre; al massimo si comprava un pacchetto di sigarette. Dopo circa un anno di lavoro, Antonio si lasciò convincere dal padre a iscriversi alle scuole serali, ricominciando da dove aveva lasciato. Durante l’adolescenza l’amicizia con Salvatore si fece solida e importante. Abitavano a poche vie di distanza e ogni sera giocavano a carte e bevevano birra.

Il sig. D’angeli, padre di Salvatore, era un muratore. Quando arrivò a Torino assieme alla moglie, incinta della loro prima figlia, pensava sarebbe finito a lavorare alla Fiat, come già alcuni suoi cugini. Torino rappresentava per lui qualcosa di magico. Una sfida. Era la sua America. Si immaginava, vecchio e ricco, di ritorno al suo paesino in provincia di Reggio Calabria, accolto come una star. Una volta trovata una sistemazione presso le case popolari a Volpiano, fu contattato da un paio di conoscenti compaesani suoi, i quali gli proposero di lavorare in una piccola società edile di loro proprietà. Ben presto si rese conto che il 90% delle società edili in Piemonte erano di calabresi o di siciliani, quasi tutte a gestione familiare. Quando nacque Salvatore, il lavoro non mancava. Suo padre usciva di casa la mattina alle cinque e tornava la sera alle otto. Molto spesso lavorava anche nel fine settimana. La sua bravura come muratore e la sua resistenza alla fatica erano riconosciute da tutti. In una decina d’anni, il padre di Salvatore divenne capo cantiere e i muratori triplicarono di numero. Non fu facile. Negli anni del dopoguerra i meridionali non erano visti molto bene. Non a caso, la frequentazioni della famiglia di Salvatore non uscivano dalla comunità calabrese; che comunque era abbastanza cospicua. Salvatore frequentò solo le scuole dell’obbligo. A tredici anni iniziò a lavorare come magut, apprendista muratore, con il padre, gli zii e i cugini. Pressoché tutta la famiglia simpatizzava con l’Msi, il Movimento sociale italiano. Il padre di Salvatore, quelle volte che si parlava di politica, lo esortava a diffidare dei rossi, falsi e prepotenti. “Non credere a tutto quello che ti dicono su Benito Mussolini. La scuola è ormai corrotta dai comunisti. Quell’uomo ha fatto tanto per il suo Paese.” Dio, patria e famiglia. Di questo si doveva occupare un uomo d’onore. Salvatore vedeva ogni giorno come suo padre si spaccava la schiena per i suoi familiari e pendeva dalle sue labbra ogni volta che apriva bocca. Anche un solo piccolo gesto di approvazione da parte sua, avrebbe potuto dare un senso a intere giornate di fatica. Salvatore notava come suo padre era rispettato in cantiere e, di conseguenza, veniva rispettato anche lui. Aveva sedici anni la prima volta che visitò la tomba del Duce a Predappio, insieme al circolo comunale dell’Msi. Il sig. D’angeli sapeva che il migliore amico di Salvatore era figlio di un rosso, e non gli piaceva. D’altra parte, suo cognato era ferroviere e conosceva abbastanza bene Spinicci. Aveva sentito raccontare che, in uno scontro tra sindacati, Spinicci aveva preso le difese dei lavoratori iscritti al Cisnal, il sindacato dei neri. Per questo lo rispettava. Sapeva che era un uomo onesto e un padre di famiglia. Tra i due c’era stima, o per lo meno rispetto. Lo vedeva ogni domenica in chiesa, dove si scambiavano un saluto. Certo non avrebbe mai accettato un invito a cena, ma d’altronde non ce n’era mai stato uno. Salvatore si vedeva spesso con Antonio e quasi mai parlavano di politica.

Il professor Zanardi, con il solito passo affrettato e leggermente goffo, aveva appena imboccato il corridoio, quando lo incontrò seduto.
“Buongiorno Antonio”, salutò.
“Buongiorno professore” rispose Antonio Spinicci “piove molto fuori, vero?”
“Sembra che non abbia mai piovuto. Mi raccomando Antonio, non faccia fumare i ragazzi in bagno, che quando tornano in classe puzzano come dei posaceneri ambulanti.”
“Non si preoccupi professore sono qui apposta”
Il professor Zanardi stava simpatico ad Antonio. Erano ormai diciannove anni che faceva il bidello in questa scuola di ragionieri, ma Zanardi era l’unico professore con cui aveva un rapporto che andava un po’ più in là del semplice formalismo professionale. Era lo stesso edificio in cui aveva frequentato le scuole serali per diventare geometra. Mai finite. L’officina in cui aveva lavorato come meccanico aveva chiuso e lui si era ritrovato a ventiquattro anni senza lavoro. Suo padre era già parecchio malato al tempo; aveva smesso anche di fare il sindacalista. Il mondo si affacciava sugli anni ottanta e molte cose erano cambiate. Gli anni settanta avevano rappresentato il periodo più bello della sua vita. Aveva conosciuto Maria, sua moglie; era cresciuto sempre al fianco di Salvatore, inseparabile amico. Il padre si prese un’infezione polmonare nel settantanove e nel giro di diciotto mesi era peggiorato a vista d’occhio. Antonio sapeva che non poteva permettersi di stare senza lavoro. E così, iniziò a partecipare ai concorsi pubblici. Nell’ottantadue entrò come bidello nell’istituto tecnico commerciale Luigi Nervi di Volpiano, e da lì non si era più mosso. Ora, nel 2001, Antonio aveva quasi quarantacinque anni e viveva una vita tranquilla.

(...)

 


 

Valerio Baselli nasce sotto il segno della bilancia a Novara, nel 1984. Appassionato di calcio, birra artigianale e gangster movies, si laurea in Economia internazionale a Milano. Tra gli autori che lo hanno maggiormente influenzato cita Irvine Welsh, Charles Bukowski, Enrico Brizzi e Jim Carroll. Oggi lavora come giornalista economico e vive a Parigi.

Mille passi controluce è il suo primo libro.