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Francesca Boari

Piovono sassi dal cielo

recensione di Gianni Venturi*

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Francesca Boari parte da un principio, o meglio da un'intenzione pervicacemente inseguita e perseguita: raccontare il dolore non per siglarne la ineluttabile discesa verso la morte, ma per innalzare un inno alla vita in presenza della morte come insegnava Ugo Foscolo nella chiusa de I Sepolcri: "finché il sole splenderà sulle sciagure umane", un potente invito a un'eternità nel tempo e nella storia. In questo libro di alta valenza etica, si racconta un'esperienza di dolore e di consapevole distruzione dei valori della vita. Così si comporta Luca, compagno della protagonista-narratrice, padre non esemplare del bambino Antonio decenne che rappresenta i valori connessi a una tentata e sofferta riappropriazione dell'esistenza. Luca desidera scendere nel pavesiano "gorgo" di Verrà la morte e avrà i tuoi occhi; ma al silenzio dell'accettazione , la donna, protagonista e narratrice, a cui la Boari non dà un nome ma tracce potenti di un'esperienza autobiografica, risponde con una voce, la voce della scrittura. La ribellione si attua nella consapevolezza che attraverso la fisicità ci si possa riappropriare del senso vitale. E soprattutto attraverso il senso dell'odorato, leit-motiv e esperienza che indaga e si affanna per non perdere la partita con la morte. Il dolore così assume compattezza e presenza e non sfugge all'inafferrabilità del sentimento; è braccato, individuato, rifiutato: "Di fianco al tuo corpo, sudato di un odore insano, quel corpo si arrotola ancora tra le mie stesse lenzuola che puzzano di giallo, di bile, di una malattia incurabile, di un lento e desiderato lasciarsi andare all'abbraccio della morte" (p.19). Al fiutare la morte, alla puzza che emana, la protagonista che, proustianamente, a differenza degli altri personaggi, non ha un nome ma dice "io", oppone un "Odoro, nonostante tutto, ancora troppo di vita" (p. 34). La vita dunque profuma come il contatto col bimbo Antonio, la morte emana odori mefitici. Luca, parodia della vita così come la morte dello spirito nell'Inferno dantesco, è la parodia della beatitudine della vera vita, vorrebbe imporre quell'odore di morte alla famiglia, ma per salvare i diritti del figlio la protagonista ingaggia una lotta mortale. Non importa se montalianamente il risultato sarà una vita strozzata. Ogni scelta, per destino, "mi avrebbe strozzato la vita" (p. 62). Ma ormai "sapere di vita" è l'unica possibilità di salvezza. L'implacabile requisitoria sulle colpe del male che Luca persegue taglia ogni possibilità di una condivisione con l'infelicità altrui.
Così la disponibilità della protagonista si fa rivolta e rifiuto di tutto ciò che ha a che fare con la morte. Al poveretto che l'abbraccia al bar dove passa le giornate perché ha perso lavoro e famiglia lei oppone rifiuto e disgusto. Anche lui puzza di morte: "Il pazzo si avvicina mi arriva di nuovo quell'odore terribile addosso" (p.105):
la puzza dell'alcol che ha distrutto Luca.
L'implacabile requisitoria sulla colpa del male che l'io narrante scaglia contro il compagno è implacabile ma vacilla allorché interviene il ricordo di un amore passato che si è disciolto nell'orrore perseguito della discesa agli inferi: "mi odiavo perché se ti avessi amato davvero avrei dovuto fare l'unica cosa di senso. Lasciarti. E' questo stesso odio che mi ha annullato come donna, che mi ha sigillato il cuore nel non senso, mi ha ridotto all'impotenza, all'incapacità di agire verso te e soprattutto verso di me" (p.38). La Boari non si preoccupa di mettere a sostegno di questo percorso la sua solidissima cultura classica. A un linguaggio apparentemente dimesso fa da riscontro un'avvertita consapevolezza che apre uno spiraglio alla fruizione da parte della scrittrice di letture fondamentali e della contemporaneità e della tradizione. Si veda l'uso dello spazio-tempo della narrazione. L'azione si svolge dal lunedì al sabato; i luoghi: la casa, l'ospedale, il bar e infine la libertà espressa in un paesaggio montano dove la donna si reca fuggendo con Antonio per recuperare i profumi della vita e infine la conclusione attraverso un sogno che forse è il momento meno congruente della storia, ma usato secondo le esigenze classiche della catarsi greca. Il conto presentato dalla conquistata libertà è comunque alto. La perdita dell'identità: "Mi guardo intorno alla disperata ricerca di segni che mi restituiscano una identità, come estranea e straniera. Non ricordo nemmeno il mio nome. Cosa è successo? Chi sono?" (p.125). E la vicenda si conclude con lo sdoppiamento nel sogno di lei e l'altra: di lei che ha scelto la vita, che ha riconquistato la propria libertà con la morte del compagno, che esulta per un bimbo che la chiama mamma e l'altra che è pervasa da una stanchezza mortale, da una confusione provocata dalla disperazione di avere sciupato una vita:"Sento un filo di imbarazzo perché non so in che vita sono" (p.129). Ma ormai la scelta è compiuta e sul letto
dove giaceva un uomo che lascia una
"traccia di quel profumo di buono" non c'è più nessuno.
Sì. Piovono sassi dal cielo ma la scelta della vita supera ogni remora di abbandono al fascino della morte. E il momento più alto di questo notevole racconto sta proprio nel negare a una pietà
che puzza di compromesso la possibilità di spezzare
la fragile bellezza della vita che sa di buono.


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*GIANNI VENTURI, nasce a Ferrara l’11 marzo 1938. E’ stato ordinario di Letteratura italiana presso la Facoltà di Lettere dell'Università di Firenze dove attualmente ricopre l’insegnamento per contratto. Si è laureato a Firenze sotto la guida di Walter Binni, tra i maestri della critica contemporanea. L’altro suo indimenticato maestro è stato Claudio Varese con cui ha percorso tutta la sua carriera universitaria. Il libro su Cesare Pavese che è stato tratto dalla sua tesi di laurea è stato un successo editoriale a cui seguirono volume e saggi su importanti autori del Novecento italiano: D’Annunzio, Morante, De Pisis, Bassani, e altri minori. In campo rinascimentale ha pubblicato numerosissimi studi su Ariosto, Tasso e sulla corte estense. Il suo lavoro critico si è anche indirizzato ai rapporti tra la letteratura e le arti visive, privilegiando soprattutto un autore, Canova, di cui ha studiato i rapporti con la letteratura del suo tempo e con il suo maggior critico, il ferrarese conte Leopoldo Cicognara del quale ha pubblicato il fondamentale carteggio con l’artista veneto e ora diretto l’anastatica della sua Storia della Scultura. Altra specializzazione a cui ha dedicato numerosissimi lavori, il rapporto tra la letteratura e l’arte del giardino. A Firenze che è la sua città d’adozione, ha svolto un lavoro didattico impegnativo nei suoi corsi universitari: l’insegnamento di Dante, l’unico scrittore che per lui valga la pena di studiare sempre. E questo ininterrottamente da più di 15 anni. Svolge regolarmente un’intensa attività di convegni e di conferenze negli USA, in Francia, Spagna, Germania, Svizzera e soprattutto negli ultimi anni in Inghilterra. Dirige l’Istituto di Studi Rinascimentali di Ferrara che si colloca nel panorama internazionale come il più importante centro di studi sul Rinascimento italiano dopo quello Nazionale di Firenze. E’ presidente del Comitato per l’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova; è Presidente del Comitato scientifico dell’Istituto di ricerca per gli studi sul Neoclassicismo di Bassano del Grappa; è stato consigliere della Società Dantesca Italiana di Firenze; presidente dell’Associazione Amici dei Musei e Monumenti ferraresi che per lui è l’incarico più amato; è socio dell’Accademia Clementina di Bologna e dell’Accademia delle Scienze di Ferrara; è nel direttivo della Deputazione di storia patria di Ferrara; è socio fondatore del Garden Club di Ferrara e consigliere della sezione ferrarese di Italia Nostra.


 

Piovono sassi dal cielo