collana temalibero
 

 

 

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autore: Anonimo Venusiano
titolo: "Smeraldo (Erotismo tragicomico)"
collana temalibero
ISBN 978-88-32124-22-4
© 2020 - € 12,00 - pp. 128


Smeraldo è un giovane di apollinea bellezza, il cui apparato genitale si presenta in forma ambigua senza possibilità di distinguere se sia maschio o femmina. Eunice, dolcissima donna di nobili origini, dotata di una grande sensibilità che la induce alla ricerca di un amore puro, ideale, per uno scompenso ormonale è posseduta da una ninfomania portata alle estreme conseguenze. Il professor Gustav Von Zeud, all'epoca Rudolf Stern, ex criminale nazista, all'inizio degli anni '40 ha operato nel Campo di sterminio di Buckenwald per un progetto voluto da Hitler e consistente nell'effettuare sui deportati trapianti di organi allo scopo di realizzare in laboratorio il Super Uomo e dare origine alla Super Razza che dovrà dominare il mondo. John Trouler, è un losco individuo che si mantiene soddisfacendo, a pagamento, le voglie di assetate ninfomani. Entrambi questi loschi figuri, faranno di tutto per sottrarre Smeraldo ad Eunice. I tentativi daranno luogo ad una serie di intrighi e colpi di scena tragicomici tali da consigliare al pigro lettore di seguire il motto latino: "Accipe librum et devora illum".

 

 

 
 


Brano tratto da "Smeraldo"

(...)

La pioggia batteva con monotona insistenza sui vetri della finestra della camera di Smeraldo con un rumore sottile, un fruscio lieve.
La sera precedente, quando Eunice dopo avergli portato la cena l’aveva lasciato solo, Smeraldo, prima di addormentarsi, aveva spalancato le persiane per essere svegliato dai raggi del primo sole, di quel primo sole primaverile, dopo il buio e la tristezza del lungo inverno.
Aveva passato la notte in una specie di dormiveglia, in trepida attesa, ma ad una certa ora si era levato il vento, che lui sapeva essere foriero di pioggia.
Sarebbe stata un’alba senza sole, la sua attesa risultava vana.
E quell’attesa non realizzata aveva cambiato il suo stato di eccitazione in delusione, che si stemperava al rumore continuo e conciliante della pioggia, in un senso di abbandono, con il respiro breve ancora un po’ affannato. Il corpo, disteso sul letto, nella quieta penombra della camera si rilassava, sembrava sciogliersi nelle sue fibre più intime, diventare leggero, mentre gli occhi si chiudevano, e la mente si affacciava sul buio infinito che incombeva su di lui.
Ed il corpo, ormai svincolato dal proprio peso, iniziava a trasmigrare, minuscola astronave alla deriva, in quella buia immensità.
Dal buio cominciavano ad emergere vaghe forme colorate che si allungavano, si ramificavano in meravigliosi alberi di cristallo, con le foglie di verde giada, i rami popolati da stupendi uccelli di lapislazzuli, con le ali aperte come a voler prendere il volo, ma immobili, con i becchi aperti come a voler cantare, ma muti.
E tra gli alberi, stava immobile una figura corporea dal volto bellissimo, dalle membra perfette di lucente cristallo, gli occhi chiari come gelide acquemarine, spalancati in una vuota fissità, la bocca aperta come a voler parlare, ma muta.
Niente si muoveva o si udiva in quel paesaggio di lucenti cristalli, di trasparenti alabastri, splendente e gelida dimora di quella figura chiusa nelle sue forme perfette, incapace di esternare la forma di vita che si era come raggelata in lei.
E dai suoi occhi aperti, fissi, cominciavano a fluire le lacrime di un pianto silenzioso che sgorgavano come acqua di sorgente dal profondo di una roccia. E quel pianto risvegliava nell’animo di Smeraldo una tristezza in esso sepolta, che trovava riscontro nell’incapacità di quella figura a manifestare la forma di vita in essa racchiusa.
Da quelle remote lontananze, una voce che ripeteva il suo nome pian piano lo riportò alla realtà.
Aprì gli occhi, e vide curva su di lui Eunice, che lo guardava con i suoi occhi tristi velati di pianto.
– Eunice – mormorò Smeraldo tendendole le braccia in un gesto di consolazione, – perché piangi?
– No caro, non piango – rispose la donna provando a controllare il tremito della voce – è che stanotte ho fatto un brutto sogno che mi ha rattristato, mi ha fatto dormire male, e così vedi, mi sono svegliata tardi, che è già mezzogiorno passato.
– Che sogno? – la interruppe Smeraldo.
– Brutto, bambino mio, figurati che sognavo di perderti, ma tu, qualunque cosa succeda, non mi lascerai mai, vero, Smeraldo? Perché tu qui con me sei felice, non ti manca niente, Smeraldo, dimmelo ti prego.
– Ma, Eunice – si meravigliava Smeraldo che era all’oscuro di tutto – perché mi fai questi discorsi?
– Perché il brutto sogno e la mia angoscia dipendono da certi strani discorsi che mi ha fatto il professore ieri sera.
– Quali discorsi?
– Ascoltami, Smeraldo – continuò Eunice sedendosi sul letto accanto a lui – il professore, tu lo sai perché qualche volta te ne ho parlato, è uno specialista nel campo della chirurgia, in particolare per quanto riguarda trapianti di organi, e ieri sera, nel parlarmi, mi ha detto che in tutti questi anni ha compiuto esperimenti sugli apparati sessuali degli esseri umani, che li distinguono nei due sessi, il maschile e il femminile, che tu, per tua fortuna, non possiedi né in un senso né nell’altro. Dico per tua fortuna perché tutte le sofferenze del genere umano dipendono dal sesso, perché è sotto la spinta dell’impulso sessuale che la natura ha messo dentro di noi per costringerci all’accoppiamento che gli esseri umani accettano di subire questa tragedia che è la vita, tragedia dalla quale tu, chiuso nel tuo guscio protettivo, sei al riparo. Ma ora, il professore vuole intervenire su di te, per spezzare questo guscio, e portare alla luce quell’essere umano, uomo o donna, che sta racchiuso in te, ma con quale risultato? Con il risultato di esporlo alle miserie, ai dolori che la natura riserva alle sue creature. E per convincerti a sottoporti ai suoi esperimenti, il professore ti dirà che il sesso è portatore di felicità. Non è vero! Lui te lo dirà soltanto perché vuole soddisfare la sua ambizione di ricercatore.
Dopo queste ultime parole, dette con voce vibrante di passione, Eunice tacque stremata.
Vedeva sul volto di Smeraldo un’espressione di incertezza, quasi di incomprensione, difficoltà a decifrare ciò che gli stava dicendo. E questo aumentava quel senso di angoscia che già aveva dentro, e che si andava trasformando in terrore di non riuscire a spiegarsi, a far capire a Smeraldo il senso delle sue parole.
Doveva assolutamente calmarsi, trovare il modo di scaricare l’enorme tensione che si era accumulata in lei, e che le impediva di continuare il discorso.
– Smeraldo, mi rendo conto dell’incertezza che si crea in te nell’udire queste parole, dal momento che di questi argomenti non ne abbiamo mai parlato. Ora io devo andare a Milano per un lavoro molto urgente ma sarò di ritorno molto presto, al massimo alle cinque, tu intanto rifletti su quanto ti ho detto. Al mio ritorno finirò di spiegarti il mio pensiero, ed allora vedrai che ti sarà tutto chiaro, e quando domani mattina verrà il professore, tu sarai in grado di convincerlo che non ti vuoi sottoporre al suo intervento. Ora vestiti e scendi a pranzare, io parto subito così sarò di ritorno ancora prima delle cinque.
Salita in macchina rifletteva, mentre guidava, che l’unico modo per ritrovare la calma era di andare a Milano all’appuntamento con John.
Aveva deciso di non vederlo più, ma non poteva farne a meno, era più forte di lei, le sarebbe servito a riacquistare quella lucidità mentale di cui aveva tanto bisogno in un momento simile.
Smeraldo, dopo che Eunice fu uscita, alzatosi dal letto e adempiute le abluzioni mattutine, si era vestito indossando pantaloni di velluto e un maglione a collo alto, dal momento che la giornata continuava a essere umida e piovosa, ed era sceso da basso a pranzare.
Mangiava adagio, con frequenti pause di riflessione.
Fino a quel momento, di argomenti riguardanti il sesso, della differenza tra quello maschile e quello femminile, ne avevano parlato molto poco.
Solo una volta, da bambino, dopo aver assistito alla nascita di alcuni gattini in un cespuglio del parco, incuriosito dall’evento, aveva chiesto spiegazioni ad Eunice, che nel dargliele aveva accennato alla differenza dei sessi, dicendogli però che a lui non interessava, dato che la sua naturale condizione non la prevedeva.
Esaurita quella sua curiosità, dovuta alla novità del caso, l’argomento aveva perso interesse per lui.
Dopo che Eunice gli aveva insegnato a leggere i libri che gli portava dalla città, gli argomenti che lo interessavano di più erano la mineralogia, ma soprattutto l’astronomia che divenne in seguito la sua grande passione.
Quante ore aveva passato, fin da bambino, su nella torretta che sovrastava i tetti della villa, dove Eunice era costretta a chiuderlo quando andava a Milano per quello che gli aveva fatto credere essere un suo lavoro e che altro non erano che i suoi appuntamenti con amanti mercenari, immerso nella lettura di quei libri, seppur in forma elementare che trattavano di astronomia.
Quella forzata clausura era una necessità che Eunice aveva dovuto adottare fino ad una certa età per impedirgli di andare incontro ad eventuali pericoli.
Quando poi era cresciuto aveva mantenuto quella passione, anzi si era talmente appassionato che aveva trasformato la torretta in un vero e proprio osservatorio astronomico, dotandolo degli strumenti necessari che gli erano stati regalati da Eunice.
E nelle notti d’estate, quando la volta del cielo si presenta in tutto il suo splendore, con l’occhio fisso al cannocchiale, si perdeva in quell’immensità, seguendo con gli spostamenti dello strumento la composizione delle varie costellazioni, finché le prime luci dell’alba gli sottraevano l’oggetto delle sue osservazioni.
E così trascorreva la sua esistenza felice, dividendo il suo tempo fra la lettura, le osservazioni astronomiche e le lunghe escursioni nella stupenda natura della vasta tenuta che circondava la villa.
E se nelle sue solitarie passeggiate gli capitava di vedere occasionali visitatori, per lo più cacciatori, o cercatori di prodotti del bosco, li evitava nascondendosi.
Ed ecco ora, all’improvviso, Eunice gli parlava di quell’argomento riguardante il sesso, che a lui non interessava affatto.
Una frase, però, l’aveva colpito di quello che il professore avrebbe voluto fare; spezzare quel guscio per portare alla luce l’essere umano che è racchiuso in lui.
Si ricordava in particolare di quelle parole, perché aveva ancora vivo nella memoria il sogno fatto qualche ora prima, e che già altre volte gli era capitato di fare; quella bellissima statua di cristallo che prigioniera della sua immobilità non poteva fare altro che piangere, facendo soffrire anche lui.
Ma perché soffriva, perché il dolore della statua risvegliava un eco nel profondo del suo animo, dal momento che lui era soddisfatto di quella sua condizione, che Eunice diceva essere naturale per lui.
Se era dunque veramente soddisfatto, cosa aveva in comune lui con quella statua, da doversi associare al suo dolore?
O forse anche lui, come quella statua, era prigioniero di un guscio che gli impediva di realizzare veramente la sua vita? Guardò l’orologio che portava al polso. Segnava quasi le tre del pomeriggio.

(...)

 


Anonimo Venusiano è lo pseudonimo scelto dall'Autore, già firmatario di opere di successo, con il quale, per motivi personali, desidera mantenere l'anonimato al cospetto della propria platea di lettori che tuttavia, probabilmente, ne riconosceranno lo stile.