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titolo: "Il sangue di una tartaruga feroce"
collana temalibero
autore Daniela Ambrosio
ISBN 978-88- 95106-43-4
€ 9,00 - pp.99 - © 2008 - in copertina, foto originale di Federico Riccardo Chendi - Elaborazione grafica by Paolo West


QUESTE STORIE PARLANO DI CRUDELTÀ.

OGNI RIFERIMENTO A FATTI E PERSONE REALMENTE ESISTITE È PURAMENTE CASUALE.

 



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e la recensione di whipart

 

È d'obbligo precisare che di camorra, di delitti, di malavita nelle pagine rabbiose di Daniela Ambrosio non c'è traccia: la vera crudeltà è, semmai, nelle storie quotidiane di personaggi banali che si aggirano, mescolati fra di noi, nelle nostre città. L'autrice sembra aver trovato un punto d'osservazione privilegiato, si muove fra loro, ascolta i loro discorsi, è simpatetica ai loro drammi. Eppure, con grande freddezza e una buona dose di lucidità riesce, descrivendoli, a distaccarsi dai suoi personaggi, dalle location della sua Napoli e della "sua" Milano. I protagonisti delle sue storie sembrano infatti, al contempo, immersi nella realtà che li plasma e sospesi fuori dal tempo e dallo spazio. Sono storie crudeli e feroci, ma il più delle volte i carnefici coincidono con le vittime e le sofferenze di questi ricadono sui primi.
Daniela Ambrosio, senza orpelli politici, ricostruisce un mondo tanto spietato quanto realistico. Più che le storie, ciò che colpisce maggiormente è la febbricitante freschezza del linguaggio.
(Andrea G. Pinketts )

Brano tratto da "IL SANGUE DI UNA TARTARUGA FEROCE"

Napoli si svegliava la mattina come una donna sfatta e pingue, con il trucco sbavato e un’aria cattiva, come in una stanza dove si è stati tutto il giorno a fumare Merit di contrabbando. Paola si sveglia assonnata come tutte le mattine, l’eyeliner sul cuscino, il rossetto ancora appiccicato sulla bottiglia di birra poggiata di fianco al letto. Non mette mai il pigiama, Paola, e spesso si sveglia con qualcuno, oppure con l’odore di chi ha dormito nel suo letto la sera precedente. Un odore che molto spesso non è buono, è odore di ascelle, oppure di alcol, di rancido e fumo messi assieme. Paola non fa mai troppo caso alle persone che passano la notte con lei, perché lei pensa sempre ad altro. Solitamente, si concentra sul soffitto, oppure sul pavimento, o sulla parete di fianco, perché Paola non guarda mai negli occhi. Nessuno. Appena sveglia comincia a fumare, a digiuno, lo stomaco ancora in disordine e gli occhi spenti. La ragazza spagnola che divideva con lei l’appartamento si è trasferita a Bologna, e a Paola tocca cercarsi una nuova inquilina. Non ne ha voglia, così come non ha voglia di cercarsi un lavoro, né di terminare gli ultimi tre esami all’università, facoltà di lettere. Si era iscritta a lettere perché le piaceva leggere, amava soprattutto Moravia e Pasolini, ma anche Dante. Preferiva il Purgatorio, ma non sapeva neanche il perché. Il suo scrittore straniero preferito invece era Yukio Mishima, il giapponese che si suicidò facendo karakiri. Paola vorrebbe andar via, lontano, in una città grande, perché Napoli è solo un grande paese, troppo complicato, troppo difficile viverci. Napoli è sporca e cattiva. Londra o New York andrebbero meglio. Barcellona o San Francisco pure. Che importa? Si è trasferita a Napoli per via dell’ università, sempre meglio di quel buco in provincia di Salerno dove i suoi genitori ancora vivono. Paola non torna quasi mai lì, perché dice sempre che “se Cristo si è fermato ad Eboli, deve esserci un motivo”. Per fortuna, i genitori le pagavano l’affitto, così poteva permettersi una vita quasi decente. Tanto, i soldi che ha a disposizione li spende tutti al bar, compra libri e crack e mangia pochissimo.
Quando fumi il crack- o il cobrett, come si chiama a Napoli- la mattina ti svegli con le gambe pesanti, tutto il corpo è pesante, tanto che non riesci neanche a scender giù dal letto. Sembra che qualcuno ti abbia fatto colare del cemento addosso, e devi farlo a pezzi per poter riacquistare la mobilità.

Paola cammina per la strada e non vede nessuno. Molti, però, guardano lei: è alta, magra, bionda, potrebbe quasi essere una modella, oppure una rock star, oppure tutte e due insieme. È solo il suo modo di vestire a farla rientrare nella condizione dei mortali, di quelli che non badano alle etichette così come non badano a loro stessi.

È già pomeriggio, ma a Napoli non si capisce mai che ora è, è sempre ora di punta. C’è gente per la strada, ma Paola cammina come se ci fosse solo lei al mondo. Cerca un bar, il suo baretto. Piazza del Gesù nuovo.“Una Beck’s con vodka alla fragola”. Beve sempre il solito intruglio, Paola, al pomeriggio. Corregge la birra con la vodka alla frutta perché così è più buona, più dolce. Va giù facilmente. “E un caffè. Amaro”. Spera che non le si avvicini nessuno, lei conosce tutti qui e tutti conoscono lei, perché vuole leggere in santa pace.

“E nondimeno, forse tutto ciò gli era indispensabile al perseguimento della vera bellezza: quel vuoto interiore, quella dispersione di ogni gioia, perfino quella totale incapacità di credere che il peso oppressivo di ogni singolo istante fosse un dato di realtà, che il suo dolore, quantomeno, gli appartenesse in proprio. I sintomi affioranti in un uomo afflitto dalla bellezza somigliano non poco a quelli della lebbra”.

“Ciao Paola, che fai Paola?”. Si avvicina a lei un ragazzo, alto, magro, con gli occhi neri e nervosi.
“Niente, che vuoi?”. Paola è infastidita, è uno dell’università, ha più di trent’anni e deve fare ancora l’esame di latino. Si scopa le ragazzine, quelle del primo anno, il cazzone.
“Che leggi? Mishima, bello, hai letto il suo ultimo libro? Ma all’università, tutto a posto? Ti manca poco, eh? Devi laurearti fra poco, eh?”. È nervoso, si gratta di continuo.
Paola lo ignora, continua a leggere e a bere.
“Vuoi fumare?”. Il tipo sa come attirare l’attenzione, questo è certo. È un po’ presto, saranno le cinque, ma si può fare, perché no? Paola richiude il libro, dà un ultimo sorso alla sua birra – è calda, ormai – e segue lo stupratore di minorenni.
“Andiamo a casa mia, vabbè? È proprio qua dietro, guarda, proprio dietro al vicolo”.
Paola lo segue e non risponde. Si inoltrano nei vicoli che si ingarbugliano dietro le due piazze principali del centro storico, San Domenico e del Gesù. Panni stesi davanti ai bassi, qualche donna che spaccia, bambini che giocano e urlano. Sa che staranno tutto il pomeriggio e la sera a preparare bottiglie e a fumare. Forse lui le chiederà un pompino, così, per ricambiare il favore, tanto nessuno fa mai niente per niente.
Entrano in casa, è un bilocale al terzo piano di un palazzo fatiscente, c’è un odore di fumo, di pasta al sugo stantia, di piedi. “È l’odore delle case degli studenti maschi” pensa Paola, nauseata. In soggiorno, stravaccati su una poltrona bassa mezza scassata, ci sono due che fumano erba da un grosso bong ad acqua e guardano film di Kurosawa. Tutto intorno, posacenere stracolmi e bottiglie vuote o mezze piene, libri e avanzi di cibo.
“Io preferisco I sette samurai, ma Rashomon è un capolavoro, un gran film”.
Erano noiosi, quei due, e Paola fa finta di non esserci, anche se la stanno guardando.
“Io vado in bagno”. Paola ha voglia di vomitare, forse non doveva bere quelle birre a digiuno, ma è abituata, ormai. Due dita in gola. Niente. “Forse sono quei due a darmi la nausea” pensa rimettendosi a posto il trucco mezzo sbavato. Accende un sigaretta. Fuori dal bagno, c’è il tipo che l'aspetta, con la sua bottiglietta col crack. La prende per mano e la porta in camera da letto. L’arredamento qui è composto da un materasso buttato a terra e da una lampada Ikea. Mette su della musica e fumano, in silenzio, poi collassano sul materasso. Sembra una specie di futon, ma alla buona. Il tipo la tocca tra le cosce, ma Paola non sente niente, riesce a eccitarsi un po’ solo pensando a due ragazzi che aveva conosciuto un paio di sere prima, o forse la settimana scorsa, non ricorda. Erano due ragazzi molto belli, due tedeschi, biondi, avranno avuto neanche ventanni. Se li immagina che si toccano e fanno l’amore, tutti nudi, in riva al mare. Una scena idilliaca, da porno anni Settanta. Solo così Paola si eccita, e viene. Viene intensamente, bagnando le dita del tipo, e anche lui viene, soddisfatto. Non l’ha neanche toccato, ha fatto tutto lui da solo. Paola non si è mai innamorata di nessuno, e nessuno si è mai innamorato di lei. Si accendono una sigaretta, quasi contemporaneamente. Paola ripensa al libro di Mishima che stava leggendo. “Neve di primavera”, si chiama. La neve copre tutto, nasconde sotto il manto candido tutto il male, tutto lo schifo della vita. Lo schifo dell’amore, dei giorni, del tempo che passa e invecchia. A un certo punto, Mishima racconta che una serva porge a Kiyoaki, rampollo di una nobile famiglia, un liquido rosso e dice che quello che stava bevendo era il sangue di una tartaruga feroce. Il sangue di una tartaruga feroce era solo un gioco, per spaventare il giovane Kiyoaki, il protagonista. Anche Paola, come Kiyoaki, il protagonista del romanzo di Mishima, immaginò che esistessero realmente tartarughe feroci dal sangue tossico. Ma erano solo fantasie che scorrevano nel flusso del viaggio che si stava facendo.
Fuori è già notte. Paola pensa che sta arrivando l’inverno e si sente un po’ triste. Solo un po’. Quel cretino si è addormentato, strafatto. Suda sotto la luce della lampada Ikea. Paola è ancora molto sveglia e va via. I due in soggiorno sono passati al cinema di Tarkovskij, forse andranno avanti tutta la notte. Napoli, fuori, urla. La gente per la strada è inquieta, il baretto è pieno, ci sono macchine, rumore. Risa, schiamazzi, bottiglie vuote che rotolano via. Motorini che sfrecciano tra i vicoli. Paola pensa che non ha mangiato nulla, è da ieri sera che non mangia nulla, deve buttar giù qualcosa, qualcosa che le tolga dalla bocca il sapore di ferro arrugginito. Ordina un dolce, c’è una pasticceria che è sempre aperta. “Un dolce alla crema e una birra”. Sente che qualcuno la sta guardando, ma fa finta di nulla. Vuole solo andare a casa, Paola, farsi una doccia e magari dormire.

(...)


 

Daniela Ambrosio è nata ventisette anni fa all’ombra del Vesuvio. Si è laureata a Napoli in Storia dell’arte e ha vissuto un po’ qua un po’ là, prima di stabilirsi a Milano, dove lavora come curatrice di mostre.
Il sangue di una tartaruga feroce è il suo primo libro.