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Stefano Solventi

La meccanica delle ombre



di Gianluca Garrapa per Satisfiction



La meccanica delle ombre è il brillante esordio di Stefano Solventi, redattore di Mucchio Selvaggio e SentireAscoltare: il protagonista del romanzo è il quarantenne Benni, Bernardo Stipoli, separato dalla moglie Giovanna della quale, forse, è ancora segretamente innamorato, e inseparabile dalla figlia adolescente Samanta con la quale condivide la passione per i concerti rock: Benni suonava nella band rock dei Pure Mania, negli anni ’80 quando, come nota la figlia Sam davanti alla foto del padre, c’era in lui una luce che veniva da dentro. In tutti gli incidenti di cui Benni è testimone, le vittime restano illese. Benni abbraccia malati di cancro che poi, pare, guariscono. È evidente che Benni sia un santone, un guaritore, suo malgrado. Oppure si tratta di coincidenze? Fatto sta che dall’inizio del romanzo fino alla fine, non sappiamo come si evolverà questa situazione paranormale. È imprevedibile il racconto. O meglio, tutto sembra casuale come in un pezzo jazz, ma in realtà alla fine tutto si riannoda in una trama rock che ci tiene per mano e non annoia mai. Il romanzo non è solo un viaggio nelle possibilità ‘paranormali’ degli esseri umani, e per paranormale intendiamo proprio la capacità empatica e altruistica di ascoltare gli altri e concedere loro una speranza: io non so se sei in grado di farle guarire, ma so che puoi dare loro speranza. Ed è tutto ciò che chiedono, dice Fabio, personaggio ambiguo che trarrà benefici economici e d’immagine dalle capacità magiche di Benni.

Paranormale è questo bisogno d’affetto e rassicurazione che nella nostra epoca sembra, appunto, caratteristica impossibile a rintracciare nel genere umano: è più facile oggi essere cattivi. Ci sono più modelli di riferimento, dice Samanta, una paziente aggressiva e provocatoria adolescente con disturbi del comportamento sessuale e il malato Padre Vincenzo: la possibilità di fare del bene è una benedizione, ma può essere anche un peso insostenibile. Personaggi che prendono vita nella chirurgia delle descrizioni fisiche: la mano pallida, quasi prosciugata. Le articolazioni trasparivano giallognole come escrescenze callose oppure, più avanti, le vene bluastre sul dorso delle mani che palpitavano come il collo delle lucertole sotto il sole. Benni è convinto che sia la sua ombra a permettere questi presunti miracoli eppure non si sente padrone di sé: passeggero sgradito nella propria stessa vita.

Ombre, i personaggi, che vivono di vita propria: le ombre hanno una loro meccanica, in fondo. Sono il risultato di una congettura fisica, anche se le sensazioni che suscitano sono del tutto metafisiche: quasi un vinile: un solco di gommalacca che genera suoni immateriali. E il frattempo miracoloso e magico, racconta in modo magistrale il cambiamento dei gusti musicali e le abitudini dei ragazzi: al contest di una band di adolescenti non può pensare altro che, ormai, la musica è solo un’accozzaglia di citazioni ben organizzate, eppure non riesce a detestarla. Anzi, prova un’empatia fisica per quei tre amici della figlia. La storia racconta anche il passato della musica rock, le musicassette, i vinili, Joy Division, Led Zeppelin, John Mellencamp, Cramps, Iggy Pop, Blue Cheer, Velvet Underground e Lou Reed: Oh, Benni. Ma di Lou Reed che mi dici? Porco cane. Da non crederci che sia morto, vero? Ironizza l’amico Gabe: la musica è struttura, orchestrazione di capitoli e situazioni che raccontano, i rapporti umani degli uomini e delle donne, in un’epoca in cui il sesso e l’amore sono intercambiabili, conducendoci verso l’abisso della solitudine quotidiana, una straniante bontà, quella di Benni: sai cos’è che ti scava una voragine dentro? È quando le persone con cui vivi iniziano a sembrarti i tuoi carnefici.

Con stile lineare alcuni personaggi di Solventi affrontano il senso di colpa come molla per cercare una guarigione miracolosa per i loro figli: perciò non devono sentirsi in colpa, né per quello che è accaduto, né se non riescono a rimediare: la metafora di una società, la nostra, che proprio nel senso di colpa pone la basi della credulità dei disperati nelle fantomatiche medicine e cure e rimedi e che cerca un Benni che sia la lavatrice della sua coscienza.

Tra i personaggi si crea un legame che trascende la volontà stessa dell’autore: è come se tra di noi si fosse creata una connessione speciale. Una sincronia, appunto. E poi la superficie delle cose: la nebbia, le finestre, i paesaggi: gli alberi incombevano immobili, come appesi a dei fili invisibili, le ‘pitture’ dell’interno: una parete attrezzata per il fai da te, un lavandino d’acciaio riciclato da una vecchia cucina, scatole impilate sugli scaffali, secchi di vernice, bottiglie vuote e bottiglie piene. La casa: le luci spente. Televisore spento. Stereo spento. Dalle avvolgibili filtravano le scie laminate dei fari, una schiera di piccole luci ovali che attraversava la parete, sfiorava l’angolo e andava a smorzarsi a metà del soffitto. Ogni auto che passava era un fruscio prolungato: scrive l’autore e non capiamo se Benni stesso sia l’autore.

Un refrain filmico. Puro piacere fisico nei riuscitissimi dialoghi e nelle descrizioni ‘tattili’ e sinestetiche: la pelle dei seggiolini restituiva una fragranza acrilica e una specie di morbida lucidità. In esergo al romanzo, un richiamo allo scrittore Thomas Pynchon e al cantautore Franco Battiato: due stimoli che aleggiano di continuo lungo questa storia e per quanto nessuna storia è vera fino in fondo, questa sembra davvero accaduta al nostro migliore amico, parla davvero ai nostri desideri e alle nostre speranze…

 

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leggi anche l'intervista di Gianluca Garrapa
a Stefano Solventi per Satisfiction

La meccanica delle ombre

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