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Mauro Fodaroni autore di Bar Mattatoio

intervista a cura di Giuseppe Iannozzi


Mauro Fodaroni


1. “Bar Mattatoio” è il tuo primo romanzo, Mauro Fodaroni. Sappiamo che sei nato a Città di Castello, classe 1975 e null’altro. Raccontaci un po’ di te, Mauro, e non ti risparmiare.

Vivo a Città di Castello e lavoro a Perugia in un’agenzia doganale. Mi faccio più di cento km al giorno per andare al lavoro passando per le colline di una strada provinciale che somiglia molto al mio paradiso immaginario.


2. Quali sono i tuoi autori preferiti? Chi, tra gli scrittori contemporanei e non, ti ha maggiormente influenzato?

Fante è sicuramente il colpevole. Steinbeck, Céline e Carver gli hanno dato una mano. A farmeli conoscere è stato Bukowski. Apprezzo Ammaniti perché sa usare molto bene lo spirito del tempo per la caratterizzazione dei personaggi.

3. Che io sappia “Bar Mattatoio” è il tuo primo lavoro (pubblicato). Qual è stata la sua genesi?

Prima di “Bar Mattatoio” mi avevano pubblicato racconti e poesie in varie antologie letterarie e la mia poesia “Contro un Uragano” è stata segnalata al primo premio nazionale “Villa Torlonia” di Roma. Volevo scrivere un libro sui cambi di vita e suoi buoni maestri. Avevo la fabula di “Bar Mattatoio” in testa e giorno dopo giorno le immagini delle scene principali si andavano componendo, così ho deciso di provarci. Una volta terminato dovevo scegliere il range di editori la cui linea editoriale rispecchiava il mio romanzo. Entrai nel sito di Cicorivolta – mi sentii rapito dal caos che regnava – e fu amore a prima vista.


4. Siamo di fronte a un’opera di pura fantasia, o invece ci sono anche degli spunti autobiografici sottintesi?

Fante diceva che uno scrittore deve fare tanto con poco. Gli autori contemporanei, a differenza degli scrittori del passato, hanno molti mezzi d’informazione in più e attraverso di essi è più “comodo” entrare nella testa dei lettori. Quindi non ho avuto la necessità di parlare per forza del mio vissuto, anche se credo che in tutto quello che scriviamo dobbiamo essere autobiografici, vuoi per la storia, oppure le caratterizzazioni. Questo per evocare nel lettore le sensazioni di realtà, per fargli dire quel famoso “Sì, è veramente così…” a quel punto il lettore lo “prendi”, altrimenti fiuta “l’imbroglio” e il tuo romanzo finisce sotto la gamba più corta di qualche comodino.

5. Michele e Anita sono i personaggi principali del romanzo. Michele non ha avuto una vita particolarmente felice. Ha abbandonato l’Università e ha scelto di passare le sue giornate insieme ad alcuni derelitti che bazzicano il bar Mattatoio. Si può dire che non c’è una vera e propria relazione affettiva con i genitori. E fa presto così il dramma a consumarsi: Michele si spara in vena una pera nel tentativo di anestetizzare il dolore di fronte all’atroce spettacolo della madre morta sgozzata. E finisce in coma. La visione che porti della realtà è molto cruda, spietata e rabbiosa, senza possibili limpidi orizzonti. Perché?

È una questione di gusti. Sono sempre stato attratto dalle storie degli emarginati. Nel libro avevo bisogno di generare un trauma, necessario alla nuova vita del protagonista, per obbligarlo a muovere i suoi primi passi da solo, uscire dal bar e confrontarsi con gli altri. E anche per rendere credibile il suo carattere; che altrimenti, se il lettore non entrasse in empatia con lui, risulterebbe solo quello di un cinico, stronzo e misogino.

6. Anita, quella che potremmo dire ‘la ragazza della porta accanto’, è l’unica persona che abbia un po’ di considerazione e di pietà per Michele una volta che si risveglia dal coma farmacologico. Arriva al punto di regalargli un notebook. Tuttavia Anita non è soltanto la ragazza della porta accanto, è anche una che la dà via per portare a casa la pagnotta. Ti porgo ora una domanda un po’ imbarazzante: conosci da vicino, per esperienza diretta, il mondo della prostituzione?

Ragazze come Anita ce ne sono tante, e se il loro mestiere venisse regolato non ci sarebbe niente di male, anzi. Io purtroppo non ho mai ricevuto soldi per fare sesso…

7. Michele è una sorta di chansonnier, un poeta arrabbiato: scrive poesie, talvolta le mette anche in musica. Chi è Michele? Solo un personaggio inventato, o tu, Mauro Fodaroni, sei stato forse anche ispirato da una o più persone che hai avuto modo di conoscere?

Per vestire i panni di Michele Fanti ho faticato non poco. Essendo il romanzo in prima persona, ogni respiro, ogni smorfia e ogni dialogo del protagonista dovevano essere coerenti col suo vissuto. Non sono Michele Fanti e lui non è Mauro Fodaroni, ma in certi giorni mi sono ritrovato a pensare come lui. Ed è proprio in quei giorni che ho pensato che il romanzo poteva funzionare. Comunque con lui condivido la passione per la musica e la poesia.

8. Anita è una ragazza che fa la vita; tuttavia, almeno in apparenza, è una persona dotata d’una rara pietas e sensibilità. Non è forse un’idea un po’ romantica che una ‘donnina allegra’ possa innamorarsi del suo vicino di casa?

Volevo far raffrontare Michele, una volta uscito dal bar, anche con l’amore e le sue varie forme. Anita, che conosce bene il dolore, prova subito un forte affetto per Michele. Lei rappresenta per me il “bene”, che è forse la forma d’amore più puro. Poi c’è quello della collega e quello di Fiore, ma questo lo lascio al lettore.

9. Seppur in maniera quasi trasversale, la vita di Michele subisce una svolta grazie all’interessamento di un prete che gli procura un lavoro. Quanto è importante per Michele la Fede. E, quanto lo è per te, Mauro?

Michele non pensa alla Fede, e il prete non cerca nemmeno di convertirlo; infatti il protagonista ha già subito una drastica conversione – nel senso di cambio di vita – e il prete pensa più a curarlo nella mente. Quindi, in un certo senso, per Michele la Fede è una cura. Per me la Fede è un dono fondamentale per riuscire ad amare la vita.

10. Attraverso “Bar Mattatoio” era tua intenzione lanciare un messaggio sociopolitico?

Ho amici sia di destra che di sinistra e trovo del bene e del male in ogni ideologia. Ma prima della politica l’uomo deve ancora pensare a questa società e a come tratta i propri simili. Per troppi aspetti viviamo ancora in una sorta di preistoria della società. In “Bar Mattatoio” ho fatto dire al nonno un po’ di cose che mi stavano a cuore, cose che si capiscono solo andando, per sbaglio, in un fast food di una grande città, dopo aver dato un morso a uno di quei coscetti di pollo fritti.

11. Tu, Mauro Fodaroni, guardi con interesse a una particolare corrente letteraria/narrativa, o segui in maniera esclusiva soltanto il tuo istinto creativo?

Ho seguito con interesse i “cannibali”finché non sono diventati vegetariani e allineati. Un po’ il discorso del musicista che fino a quando ha fame fa ottima musica e dopo il successo diventa un prodotto cellophanato e con codice a barre.

12. A chi è destinato “Bar Mattatoio”? C’è una potenziale fascia di lettori che non può davvero far a meno di leggerti?

”Bar Mattatoio” è un romanzo di formazione. Dopo averlo terminato l’ho sottoposto a un gruppo di lettura molto eterogeneo, di cui mi fido molto, per capire a chi poteva piacere in maniera particolare e a chi no. Sono rimasto sorpreso, ad esempio, dallo scoprire che è piaciuto tanto al pubblico femminile di ogni età.

13. Stai già lavorando a qualcosa di nuovo? Hai voglia di portare a conoscenza del pubblico che ti segue quelli che sono i tuoi progetti per il futuro?

Ho terminato la prima stesura del secondo romanzo, quello che ho incominciato durante la realizzazione di Bar Mattatoio perché avevo bisogno di un po’ di pausa dal protagonista. Sentivo la necessità di svestire i panni di Michele Fanti e del suo vissuto sofferto e di scrivere qualcosa di più divertente. Così ho battezzato una delle idee che stavano prendendo corpo e pagina dopo pagina mi accorgevo che poteva funzionare. Come sai, la prima stesura equivale ad una fase molto embrionale e quindi avrò bisogno ancora di un po’ di tempo prima di intasare le cassette della posta degli editori con la storia intrecciata di un trentenne che pensa di avere sposato un’aliena e che viene convocato dai suoi vecchi compagni di squadra dopo venti anni, per la rivincita di una partita persa venti a zero; e di un giornalista che è stato buttato fuori dalla Rai per una gaffe in mondovisione ed è finito nella redazione di una testata giornalistica locale sotto le grinfie di un direttore sgrammaticato e un editore/”Re dell’insaccato” che vuole esportare il Piggyburg in America.

Ti auguro tutta la fortuna che meriti, Mauro.

 



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