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Paolo D’Amato. Intervista all’autore di Settimo

a cura di Giuseppe Iannozzi

 


1. Paolo D’Amato, hai iniziato a scrivere quasi in sordina, sulla rivista letteraria “Inchiostro”, per poi arrivare alla pubblicazione del tuo primo romanzo
TEMPO (Cicorivolta edizioni), un noir ambientato nell’Italia degli anni di piombo. Subito hai incontrato il riscontro e della critica (vincendo il concorso nazionale Tammorra d’argento per la sezione narrativa, ma anche finalista al Premio Editoria Indipendente di Qualità, curato da “Arcilettore”) e del pubblico. Come è nato lo scrittore Paolo D’Amato?

Scrivo da sempre: ho iniziato con le classiche poesie adolescenziali per poi proseguire con appunti, semplici pensieri, racconti brevi e molto semplici. Qualche anno fa decisi di iscrivermi ad un corso di scrittura creativa (L’Officina del Racconto, curata dallo scrittore Domenico Notari). Il laboratorio mi è servito soprattutto ad acquisire consapevolezza delle mia capacità, oltre che a confrontarmi con uno scrittore esperto e con altri appassionati come me. Da qui è poi nata la decisione di inviare il primo racconto ad ‘Inchiostro’: la pubblicazione, i complimenti di amici e parenti, la conseguente fiducia in me stesso, sino alla decisione di mettermi al lavoro per creare qualcosa di più corposo.


2. Domanda d’obbligo, o quasi: quali autori ti hanno influenzato e per stile e per tematiche? Di certo, sappiamo che nutri una grande deferenza nei confronti di Stephen King, autore, che con i suoi alti e bassi, par aver dettato le regole per un certo tipo di letteratura, dal puro horror al fantasy ma anche con alcune incursioni nel mistery e nel giallo. Parrebbe che oggi, perlomeno stando a quanto dichiarano alcuni bibliotecari americani, si leggano di più i libri di King che non quelli di Ernest Hemingway. Come te lo spieghi?

Sicuramente sono stato influenzato da tutto ciò che ho letto nella mia vita, e non è poco. Sono un lettore famelico ed onnivoro. Non sono però in grado di stilare una classifica delle mie preferenze, anche perché un autore può esaltarti con un libro e deluderti con un altro. Una cosa però voglio dirti: George Simenon non mi ha mai deluso e il piacere che provo ogni volta che leggo un suo libro mi sorprende ogni volta! E’ possibile che oggi si legga più King che Hemingway, perché purtroppo oggi manca una educazione alla lettura e – soprattutto tra i giovani – la consapevolezza del grande piacere che essa procura (con tutto il rispetto per il grande Stephen, naturalmente!).

3. I fatti di cronaca nera oggi, per fortuna o purtroppo, sono diventati anche entertainment: molti i talk-show e i programmi di approfondimento sui fatti di sangue della nostra società, ma sono anche tanti i libri che parlano di certi tragici accadimenti. Par non si possa proprio far a meno di portare in prima pagina il morto ammazzato e farci su business. Sembra quasi che si sia tornati indietro nel tempo, in una nuova epoca vittoriana.

Non parlarmene! Odio quel genere di trasmissioni televisive. E soprattutto mi danno il voltastomaco quegli esperti improvvisati che in TV celebrano veri e propri processi: giudicano, insinuano, si schierano, condannano. Tutto sulle spalle delle disgrazie altrui. Bisogna ovviamente tenere ben distinti i pareri e gli approfondimenti – trasmissioni televisive e soprattutto libri – delle persone qualificate, ma in genere il pubblico preferisce dettagli macabri ed emozioni sconvolgenti, urla e pianti. Non mi piace tutto questo, decisamente no!

4. A tuo avviso, Paolo D’Amato, in che misura la fiction potrebbe aiutare l’opinione pubblica a farsi un’idea dei pericoli che, bene o male, oggi noi tutti corriamo mettendo il naso fuori di casa? Stiamo attraversando un periodo storico nulla affatto felice, dove il crimine si consuma alla luce del sole non risparmiando né giovani né anziani, il più delle volte per rubare pochi euro. Non ci si fa scrupolo alcuno ad ammazzare per una catenina d’oro, e poco importa al criminale di turno che la vittima da lui designata sia una ragazzina o una anziana signora.

L’importante è che l’informazione sia seria. Che si faccia fiction o un semplice telegiornale, è necessario che dietro ci siano professionisti equilibrati, altrimenti la notizia facilmente si trasforma in provocazione e condanna. E non dimentichiamo il ruolo che dovrebbero ricoprire la famiglia e la scuola.

5. Non mancano i delitti passionali, e purtroppo neanche gli stupri. Ahinoi, le donne sono le vittime privilegiate da chiunque intenda delinquere. Si parla di femminicidio, quando sarebbe forse più giusto parlare di barbarie; ciononostante si chiacchiera di sesso, a tutte le ore, oggi più di ieri, e spesse volte sesso e delitto si sposano per dar corpo a dei romanzi, di fiction, che par vadano per la maggiore. La tua ultima fatica, SETTIMO, mette nero su bianco una torbida vicenda, dove tu non manchi d’affrontare il non poco delicato tema del voyeurismo.

I delitti passionali e gli stupri esistono da sempre, non è che oggi ci sia una recrudescenza. Forse la cosa peggiore che affligge la nostra società è l’impunità degli autori di tali crimini, le pene troppo lievi, i benefici di legge, spesso eccessivi, un garantismo inopportuno che spesso privilegia il carnefice alla vittima. Per non parlare poi delle deficienze investigative: oggi non c’è più l’intuito e l’esperienza dello sbirro a farla da padrone ma centinaia di indagini scientifiche che non approdano a nulla. E spesso, troppo spesso, il libero convincimento dei giudici è dettato da fattori che… Vabbé, lasciamo stare! E’ vero che uno dei personaggi di ‘Settimo’ è un guardone violento, ma giuro che alla fine avrà ciò che si merita…

6. Paolo D’Amato, secondo te noir e gialli possono in qualche modo contribuire a sviscerare delle realtà nascoste, o questi generi letterari sono più che altro un facile divertimento per il lettore in cerca di emozioni più o meno forti?

Possono essere entrambe le cose, dipende dal lettore. Un buon libro è un buon libro. Il noir secondo me insegna o dovrebbe insegnare che intorno a noi non tutto è bianco o nero ma che ci sono mille sfumature in ogni persona o situazione.

7. Nel tuo ultimo romanzo, SETTIMO, seppur per vie un po’ traverse, si parla anche delle Brigate Rosse. Sono esse oramai diventate un cliché nel plot di un romanzo; le BR si stanno forse, per così dire, riscattando nei tanti romanzi (italiani) a loro dedicati?

Riscattando? Più che altro in ‘Settimo’, oltre che raccontare un fatto di sangue capitato nella mia città e rendere omaggio alle vittime, ho voluto denunciare la lieve entità delle pene a cui vennero condannati gli assassini e soprattutto i benefici che furono loro concessi. Macellai senza scrupoli, vigliacchi che spararono – dieci contro uno – approfittando della sorpresa. Questo tipo di gente può girare libera per strada, secondo te?

8. In SETTIMO compare anche una sorta di angelo buono, don Alfonso, personaggio liberamente ispirato alla figura di Alfonso Menna, il quale nutriva forti simpatie per quella che era allora la Democrazia Cristiana. Tu, Paolo D’Amato, sei un uomo di fede, e se sì, credi che la fede possa aiutare in maniera concreta chi si trova in difficoltà economico-sociali?

Non ho mai avuto molta simpatia per i partiti politici ma per le ideologie. Don Alfonso, hai detto bene quando lo hai definito ‘angelo buono’, era un esponente della Democrazia Cristiana. Se non lo fosse stato, sarebbe stato un comunista o un fascista. Altro non c’era all’epoca. Bei tempi… Credo in Dio e ci parlo spesso. L’aiuto che può ricevere qualcuno dalla propria fede è interiore: e spesso è proprio quello di cui si ha bisogno, al giorno d’oggi!

9. “Il medico di guardia al pronto soccorso in quel fatidico 26 agosto di circa trent’anni fa si chiama Giovanni D’Amato, e la sua singhiozzante telefonata era diretta a me, allora diciassettenne. L’agente Antonio Bandiera spirò in ambulanza – le mani insanguinate strette a quelle di mio padre […]”. Chi era Antonio Bandiera? Che ruolo ha nel tuo romanzo?

Antonio Bandiera, come Mario De Marco, come Antonio Palumbo, era un ragazzo che un giorno è uscito di casa per andare al lavoro e dopo poche ore giaceva disteso sul tavolo di un obitorio, sporco di sangue e crivellato di proiettili. Una settimana fa mi ha telefonato la sorella dalla Calabria, aveva ricevuto il libro tramite un ispettore di Polizia di Salerno: mi ha detto ‘non le passo mia mamma al telefono perché sta piangendo commossa’. Dopo trent’anni quella povera donna piangeva ancora il proprio figlio. Vuoi sapere il ruolo di Antonio Bandiera e degli altri nel mio romanzo? Eroi, semplicemente…

10. Esistono poliziotti che fanno il loro dovere in maniera più che onesta, ma esistono forse anche dei poliziotti un po’ così e così. Qual è la tua opinione in merito?

Esistono i buoni e i cattivi. Tutto sta a guardare le cose dalla prospettiva giusta, intendo non strumentalizzata.

11. Sulla rivolta di Valle Giulia, Pier Paolo Pasolini scriveva: “A Valle Giulia, ieri/ si è così avuto un frammento/ di lotta di classe: e voi amici/ (benché dalla parte della ragione)/ eravate i ricchi./ Mentre i poliziotti (che erano dalla parte/ del torto) erano i poveri./ Bella vittoria, dunque,/ la vostra! In questi casi/ ai poliziotti si danno i fiori, amici.”
Oggi, che tante polemiche si muovono contro l’operato della polizia, la lezione di Pasolini è ancor valida od è stata in qualche modo invalidata?

Pasolini era un grande e il suo pensiero è sempre attuale. Un animo libero, come pochi… Mi viene in mente un film con il grande Totò, e precisamente una scena in cui uno splendido Aldo Fabrizi dice: «Bella gente noi Italiani. Arrestano qualcuno? Tutti a dire: ‘Poveretto, aveva bisogno…’. Ci troviamo il ladro in casa? Allora diciamo: ‘Delinquente, assassino, acchiappatelo!».

12. Napoli è soltanto quella che racconta Roberto Saviano o c’è invece dell’altro?

Napoli non è quella che racconta Saviano. Napoli è tutta un’altra cosa. Saviano ha solo fotografato un po’ di spazzatura e l’ha messa in prima pagina…

13. Lo stereotipo del poliziotto – di quello buono che risolve i casi da sé anche a costo di andare contro gli ordini dei propri capi – è quasi sempre disegnato come una persona solitaria sui quarant'anni, introversa, di poche parole, senza una famiglia a cui badare, con problemi esistenziali che affondano le proprie radici in un passato ben lontano. Vorrei mi smentissi.

E’ vero che esiste questo stereotipo, del resto in letteratura ci sono precedenti illustri. Forse è il fascino di una vita vissuta in bilico tra il bene e il male. In realtà non ho mai conosciuto un poliziotto o un carabiniere che somigli anche molto lontanamente a Settimo. Gli sbirri che ho incontrato io? Persone semplici, con un forte senso del dovere, dotate di senso dell’umorismo e capaci di un'autoironia spiazzante.

14. Quali i tuoi progetti per il futuro? Hai già pronto un nuovo lavoro? Avresti voglia di accennare qualcosa a tal riguardo?

Magari avessi già qualcosa di pronto… Sì, alcuni racconti, molte idee, qualche pagina di appunti. Tieni presente che io scrivo nei ritagli di tempo che riesco a strappare alla famiglia e al lavoro. Però una cosa posso dirtela. Il prossimo libro sarà ambientato a Salerno, il protagonista sarà ancora Settimo e il titolo sarà… Beh, mò vuoi sapere troppo!!!

 


 

Settimo