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Italo Gilles Lasalle


L’Elenco Universale delle cose tristi
Un Capolavoro contemporaneo


di Giuseppe Iannozzi


Dovreste far di tutto per assicurarvi una copia del nuovo romanzo di Italo Gilles Lasalle, L’Elenco Universale delle cose tristi, edito da Cicorivolta edizioni nella collana i quaderni di Cico. Il perché è presto detto, anzi urlato: questo romanzo è un Capolavoro con la “C” maiuscola. Provo a farvi capire perché: avete presente Il gioco del mondo di Julio Cortázar, una delle più grandi denunce in chiave ironica dell’inautenticità della vita e della letteratura? Chiunque abbia letto Il gioco del mondo sa bene che il lavoro di Cortázar è un miracolo letterario. Altro miracolo, moderno seppur meno ambizioso ma non per questo meno divino, è quello operato di recente da Carlos Ruiz Zafón con L’ombra del vento e Il gioco dell’angelo, senza dimenticare il romanzo breve Il principe della nebbia. Si aggiunga poi un po’ dell’erotismo fiabesco di Gabriel Garcia Marquez, di quello che ha saputo ritrarre in maniera mirabile nell’Amore ai tempi del colera, e anche un po’ della decadenza esistenziale che è ne Il Generale e il suo labirinto, ed ecco a voi una storia che si legge tutta d’un fiato, L’Elenco Universale delle cose tristi di Italo Gilles Lasalle.
Una volta che attaccate a leggere Lasalle, subito dopo l’incipit, “Caro Ruppert, ti rendo partecipe di questa straordinaria scoperta che credo, a pieno titolo, possa inserirsi al primo posto nel tuo Elenco universale delle cose tristi”, non potrete fare a meno di volerne sapere di più, a tutti i costi: oramai vi siete maledetti da soli, quando avete deciso di aprire il libro e gettare l’occhio sul quel “Caro Ruppert”. Se per assurdo decideste di chiudere la porta in faccia all’Elenco Universale, per sempre vi rimarrà un nodo in gola, un’incapacità a deglutire, poiché in un certo senso vi siete macchiati d’un’imperdonabile scorrettezza morale: quella di non aver voluto scoprire il motivo principe per cui il Mondo a un certo punto ha cominciato a franare sotto e intorno a voi producendo tristezze infinite. E tutto è cominciato subito dopo gli anni '40, in pieno Risorgimento: nell’aria stagna ancora forte l’eco delle imprese garibaldine e dell’eroicità del giovane Giuseppe Garibaldi, della rivoluzione carbonara di Giuseppe Mazzini, della tenacia dei liberali Santorre di Santarosa, Silvio Pellico, Federico Confalonieri. La società, tra carbonari, moti rivoluzionari e rivoluzioni, sta radicalmente cambiando: le masse, per la prima volta nella storia, ancor più che con la Rivoluzione Francese, si rendono conto di essere una forza che per troppo tempo è stata sottomessa alla tirannica volontà di re imperatori dittatori. Se la Rivoluzione francese si era fatta promotrice del grido “Liberté, Égalité, Fraternité” destituendo la monarchia ma solo per veder presto l’ascesa pazzoide di Napoleone, gli anni del Risorgimento danno spazio a Karl Marx, a uno spirito per metà anarchico per metà socialista, che il popolo subito riconosce come suo hegeliano liberale giacobino salvatore: “…empio non è colui che nega gli dèi del volgo, ma colui che attribuisce agli dèi i sentimenti del volgo. La filosofia non fa mistero di ciò. La confessione di Prometeo: francamente, io odio tutti gli dèi è la sua propria confessione, la sentenza sua propria contro tutte le divinità celesti e terrestri che non riconoscono come suprema divinità l’autocoscienza umana. Nessuno può starle a fianco. Alle tristi lepri marzoline, che gioiscono dell’apparentemente peggiorata condizione civile della filosofia, essa replica quanto Prometeo replica al servo degli dèi Ermete: io, t’assicuro, non cambierei la mia misera sorte con la tua servitù. Molto meglio lo star qui ligio a questa rupe io stimo, che fedel messaggero esser di Giove. Prometeo è il più grande santo e martire del calendario filosofico.”
Nonostante i venti di cambiamento che invitano il popolo tutto a essere finalmente vero protagonista del proprio destino, non c’è felicità, c’è invece scontentezza dilagante: ne sa qualcosa il signor Ruppert, che da ogni angolo del Vecchio Mondo riceve tutti i santi giorni o quasi allarmanti missive vergate a mano, che mettono in evidenza nero su bianco una nuova tristezza, che la società, tecnologica e non, ha partorito. Ruppert alloggia in una piccola locanda, la Pensione Marceau, che pur essendo piccola di spazi ha però una grande memoria, essendo una delle più vecchie di Sant Michel. E proprio presso la Pensione Marceau, tra il 1843 e il 1848, circolano tanti e tanti personaggi, ambigui e per certi versi magici: non c’è solo il signor Ruppert impegnato a redigere l’Elenco universale delle cose tristi, c’è anche il vecchio professor Pustkin che sta tentando di fare una lista completa delle parole vuote. E c’è Nadine, una giovane i cui natali sono quantomeno misteriosi e che lavora nella pensione, attirando su di sé gli sguardi edaci degli avventori e dei residenti: nessuno sa con precisione chi essa sia, ma la sua bellezza acqua e sapone mette il fuoco ben dentro a più d’un animo. Il maggiore Blandino, buttato fuori a calci nel sedere dall’esercito con alle spalle una maldestra storia d’amore finita male, non può fare a meno di rimanere anch’egli vittima di Nadine: la ragazza è al centro dei suoi pensieri, ma non per motivi di lussuria, difatti Blandino è ossessionato – e piuttosto annoiato dalla vita anche – dalla giovane e vuole sapere chi è essa in realtà, quali sono i suoi natali e perché si trova a lavorare nella piccola locanda a Saint Michel. Il maggiore Blandino farà di tutto per scoprire il mistero che avvolge Nadine; ed intanto tanti avventori arrivano alla pensione, parlano e straparlano, pernottano una o più notti e poi se ne vanno di punto in bianco, non senza lasciare però dietro di sé una traccia di sangue, di sudore, un odore che le mura della locanda finiscono con l’assorbire.
L’Elenco Universale delle cose tristi di Italo Gilles Lasalle è un Capolavoro, di ampio respiro letterario, una perfetta affabulazione capace di restituire al lettore d’ogni classe sociale e gusto l’idea che il Mondo è vittima di sé stesso, del Libero arbitrio, in grado sì di decidersi per il cambiamento ripetendo però gli errori del passato e perfezionandoli con cura estrema, fino a disumanizzare la società, anche quella più nobile e di ideali rivoluzionari.

 

L'Elenco Universale delle cose tristi