temalibero
 
 

 

 

ordinalo senza spese di spedizione

 

 


 

titolo: "E giustizia infine fu fatta - Sette giudici uccisi in sette giorni."
collana: temalibero
autore: Pietro Melis
ISBN 978-88- 97424-72-7
€ 18,00 - pp.424 - © 2013- in copertina, illustrazione originale di Ilaria Grimaldi (www.ilariagrimaldi.it).


In una città di sole e mare, che però non attira ancora molti turisti se non casualmente, in sette giorni avvengono sette omicidi di magistrati, una strage senza precedenti. Si cerca il movente e tra le varie ipotesi si pensa che queste morti siano la conseguenza di un attacco terroristico. I sospetti ricadono su molti, ma non si riesce a trovare il colpevole. Il professor Petix, protagonista del libro, in quei giorni ricoverato in ospedale a combattere contro la malattia, sentendosi vittima di ingiustizie, non riesce a commuoversi per i morti a causa delle sentenze assurde emesse nei suoi confronti.

La narrazione, a metà fra il saggio filosofico alla ricerca del senso ultimo dell’esistenza e il romanzo autobiografico, prosegue e si dipana amalgamando due storie, quella della strage, appunto, e quella personale del protagonista. Entrambe tendono nella stessa direzione e hanno un unico obiettivo: la ricerca della verità e soprattutto della giustizia.

 


Il libro si conclude in un profondo e sagace colloquio tra il prof. Petix e il cappellano, in cui vengono posti alla luce dell'evidenza i temi più inquietanti della vita. Il cappellano, di fronte agli argomenti del prof. Petix, incentrati sul diritto naturale, capirà, nel vacillare della propria fede, che…

 

 
 

Beppe Iannozzi
(giornalista,
scrittore, critico letterario)
 

 
 
 
 

Brani tratti da: "E giustizia infine fu fatta - Sette giudici uccisi in sette giorni."

(...)

Mi dica, professor Petix, come avrebbe avuto origine l’universo. Se esso ha avuto un’origine nel Big Bang non potrà negare che esso abbia avuto un principio fuori del tempo perché il tempo è nato con lo stesso Big Bang. Prima il tempo non esisteva. E qui franano tutte le sue precedenti argomentazioni. Se vi è un inizio assoluto dell’universo vi sarà pure una causa assoluta fuori del tempo. E quale causa può essere concepita se non si presuppone Dio come causa assoluta? E lei sa bene che tutti gli scienziati non sono in grado di dire alcunché circa ciò che esistesse prima del Big Bang. Essi preferiscono aggirare questa difficoltà tacendone. Ma la domanda rimane e non è aggirabile: e prima del Big Bang? Se l’universo è in espansione continua e la sua energia va degradando nella sua espansione vi sarà pure la fine di questa espansione. E questa è una considerazione scientifica che demolisce da sola tutte le sue precedenti obiezioni, che alla luce di un inizio assoluto dell’universo appaiono del tutto inessenziali, se non anche trascurabili. Le ripeto: se esiste un inizio assoluto dell’universo nella sua espansione esiste anche una causa assoluta. La chiami come vuole, anche se io preferisco chiamarla Dio.
A questo punto il cappellano credette che il discorso sull’esistenza di Dio potesse ritenersi concluso. Ma non volle manifestare oltremodo il suo sentirsi vincitore per non umiliare il prof. Petix, dato il suo stato di sofferenza. Ma si trovò ben presto di fronte ad altre inaspettate obiezioni.
Mi dica, disse il prof. Petix: come spiega la creazione dal nulla da parte di un Dio sotto altro punto di vista? Perché Dio avrebbe creato il mondo dal nulla se il nulla preesisteva alla creazione? Che cosa faceva Dio prima della creazione? Nulla? Si era forse stufato di rimanere solo nel nulla? E perché non l’avrebbe creato prima?
Il cappellano lo interruppe: vede che lei si contraddice? Usa il termine “prima” come se il tempo esistesse prima della creazione. Ma prima della creazione il tempo non esisteva. Esisteva solo l’eternità di Dio.
Forse il cappellano non aveva riflettuto prima di dare questa risposta. Infatti fu facile al prof. Petix controbattergli: se non ha senso usare il termine “prima” prima della creazione, allora non è possibile nemmeno la creazione dal nulla. Infatti la creazione sarebbe avvenuta dall’eternità, quella di Dio. E torniamo alla difficoltà di prima. Se la creazione è avvenuta dall’eternità di Dio allora il mondo è coeterno con Dio. E se è coeterno, Dio diventa del tutto inutile non avendo il mondo bisogno di essere creato dal nulla. È più logico pensare che Dio si identifichi con il Logos, con una razionalità immanente alla natura. Il Dio di Spinoza, per esempio, o quello di Giordano Bruno. E le ho già detto che il panteismo è una sorta di ateismo mascherato.
Il cappellano rimase ammutolito. Poi, non volendo arrendersi, non trovò di meglio che ripetere l’argomento del Big Bang. Riconosco, disse, che questa è una difficoltà logicamente insormontabile. Ma la si può aggirare da un altro punto di vista. Lei non può negare che vi sia stato un inizio assoluto dell’universo, che postula una causa. L’universo non può essersi formato da solo se ha avuto un inizio assoluto con il Big Bang. Si ricordi che fu proprio un prete, il famoso scienziato cosmologo belga Georges Lemaître a riconoscere che l’universo è in espansione e fu lui a coniare per primo l’espressione Big Bang. E lo scoprì prima che il famoso Edwin Hubble nel 1929 lo verificasse sperimentalmente, ponendo in crisi Einstein, che credeva che l’universo fosse stazionario e non in espansione.
Ancora una volta il cappellano si sentì vincitore, pur evitando anche questa volta di manifestare la gioia di una vittoria finale.
Il prof. Petix, rimanendo imperturbabile, si limitò a dire inizialmente: ha mai studiato Kant?
Certamente, rispose il cappellano. Il suo pensiero filosofico rientra anche nel campo della teologia.
E allora dovrebbe sapere che lei ha usato il termine “causa” impropriamente riferendolo a Dio. Dovrebbe sapere che la causa è una delle dodici categorie kantiane che riguardano la spiegazione dei fenomeni naturali. Usare il termine “causa” fuori della natura non ha senso. Altrimenti, aggiungo io, bisognerebbe domandarsi chi abbia creato Dio. Ma lasciamo perdere quest’uso improprio del termine “causa” riferito a Dio. E veniamo piuttosto alla scienza. Ha mai sentito parlare di pluriverso o universi paralleli? Sa che ormai è superata la teoria del Big Bang? Esso sarebbe solo l’inizio dell’universo visibile, oltre il quale esisterebbero altri universi, come sembra dimostrato dal fatto che tra le galassie esiste un grande vuoto che indicherebbe che l’universo visibile sarebbe stato attraversato da un altro universo. Il Big Bang sarebbe solo un episodio marginale e casuale all’interno del pluriverso, dove casualmente si formano bolle o concentrazioni massime di energia, che esplodono dando origine all’espansione. Dunque alla sua domanda “e prima del Big Bang?” si può oggi rispondere che non vi era il nulla da cui Dio avrebbe derivato la creazione. Vi era il pluriverso. E Dio diventa nuovamente per la scienza un inutile orpello. Le suggerisco di leggere su questo tema il libro di Alexander Vilenkin intitolato Un solo mondo o infiniti? D’altra parte, mi sono sempre domandato, è mai possibile che un Dio creatore dell’universo e incarnatosi in Gesù non abbia mai tradito la sua presenza tra gli uomini facendo riferimento a cognizioni che contrastassero con quelle del suo tempo? Gli uomini credevano in un universo finito rappresentato da un sistema geocentrico. E invece Gesù appare un individuo abbastanza ignorante. Forse non conosceva nemmeno l’ebraico perché parlava in aramaico. Se fosse stato veramente figlio di Dio che gli sarebbe costato dire che le conoscenze scientifiche del suo tempo erano tutte sbagliate? Forse l’incarnazione gli aveva fatto perdere le conoscenze divine?
Non era questo il suo compito, lo interruppe il cappellano. Venne su questa Terra per altri motivi. Per lasciare un messaggio morale e per dimostrare con i suoi miracoli e con la sua resurrezione che la vita umana aveva un destino ultraterreno. E se avesse detto qualcosa che riguardasse l’universo non sarebbe stato capito. Si ricordi che il famoso astronomo greco Aristarco dovette fuggire per scampare alla morte perché accusato di eresia nel suo sostenere che era la Terra che girava intorno al sole. E per questo è ritenuto oggi il Copernico dell’antichità. Se Gesù avesse detto una cosa simile sarebbe stato accusato anch’egli di eresia. Gli sarebbe stata aggiunta l’accusa di un’ulteriore bestemmia oltre a quella ingiusta di essersi proclamato re dei giudei. Egli doveva attenersi alle conoscenze che gli uomini avevano della natura.
La sua risposta non mi convince affatto, rispose il prof. Petix. È vecchia come quella di Galileo, che cercò di salvare capra e cavoli, fede e scienza, nel suo inutile tentativo di salvarsi dalla condanna. Visto che Gesù è per lei Dio incarnato quale maggiore miracolo, maggiore anche della resurrezione, sarebbe stato per i posteri il suo dire la verità sull’universo. Si immagini un Gesù che avesse detto: tutto ciò che sinora avete pensato sulla natura è sbagliato. La Terra non è al centro del mondo. Adamo ed Eva non sono mai esistiti. L’uomo è il risultato di un’evoluzione durata milioni di anni. Sarebbe stata una vera rivoluzione, anche morale. Che cosa aveva da perdere dicendo ciò? Nulla. Sarebbe stato accusato anche per questo di eresia? E che doveva importargliene se già sapeva che sarebbe stato condannato a morte e che, anzi, doveva essere condannato a morte comunque perché si realizzasse la sua missione di salvezza dell’uomo dal peccato? Vede. Lei non ha capito che non è l’asserito miracolo della resurrezione che può indurre i non credenti a credere. Oggi tutti sarebbero credenti nel Dio cristiano se Gesù, ammesso che fosse figlio di Dio, avesse detto cose che sarebbero state un miracolo maggiore: l’avere detto delle verità sull’universo, oggi verificabili, dimostrando che solo una mente di origine divina avrebbe potuto dirle. Questa sarebbe stata la migliore testimonianza della sua divinità perché nessuno avrebbe potuto negarla. Infatti sarebbe stata verificabile. Mentre pochi credono nella sua resurrezione, non essendo verificabile. E se Gesù non è risorto, tutto è stato inutile perché in tal caso “la vostra fede è vana” ha scritto S. Paolo (Lettera 1 ai Corinzi, 15, 17). Io mi immagino un Gesù che, essendo figlio di Dio, avesse scritto su una pietra, per lasciarla ai posteri, la formula di Newton sulla gravitazione universale. Magari questa formula non avrebbe corrisposto esattamente alla realtà, vista la successiva relatività generale di Einstein, che l’ha ritenuta parzialmente valida inglobandola in essa, e non falsificandola, come credono gli ignoranti. Ma anche qualche filosofo della scienza come Karl Popper.
Ma si rende conto che l’avrebbero preso per pazzo? osservò il cappellano.
Già, rispose il prof. Petix. Come se non l’avessero già preso per pazzo per altri motivi. Pazzia in più o pazzia in meno, tanto valeva far valere una falsa pazzia che sarebbe stata benefica per tutta la storia dell’umanità. E poi se lo immagina uno Jahweh creatore dell’universo che dice che gli piace soprattutto l’odore del grasso di animale bruciato, per lui “soave odore”? E questo sarebbe lo stesso Dio che avrebbe creato dal nulla l’universo in conformità con la teoria delle stringhe che vibrano producendo i quark quali componenti delle particelle subatomiche? Non la fa ridere tutto ciò? Ma ritorniamo al tema iniziale, da cui ci siamo allontanati. Come giustifica il male nel mondo se Dio esiste? E non mi riferisco al male morale in quanto questo deriverebbe da un supposto, ma non dimostrabile scientificamente, arbitrio dell’uomo creato libero di scegliere tra il bene ed il male. Mi riferisco al male fisico, alle migliaia di malattie connaturate nello stesso DNA. E non sarebbe Dio stesso ad avere creato il DNA se è creatore della natura?
Il cappellano stette nuovamente in silenzio. Stava quasi per arrendersi definitivamente. Non avendo più argomenti scientifici a sua disposizione si rigettò nella fede. Ma iniziò non riferendosi al Dio cristiano perché aveva capito che gli sarebbe stato difficile difenderlo ad oltranza. Preferì prima riferirsi ad un Dio mistero che esistesse al di là di ogni religione rivelata ben sapendo che gli sarebbe stato impossibile difendersi sul piano di una fede nelle Sacre Scritture, visti i precedenti argomenti. Ma capendo che ciò non sarebbe bastato non seppe aggiungere altro se non ritornando al Dio della Bibbia. Anzitutto, disse, deve prima dire chi sia Dio. Risponda alla domanda: chi è Dio? Se non risponde a questo non ha la prima chiave di lettura in mano. Perché il suo ragionamento “o Dio è onnipotente ma non è buono, oppure Dio non è onnipotente ma buono” mi sembra il ragionamento di uno che di Dio si è formato un concetto sbagliato. Mi pare il ragionamento di uno che di Dio si è fatto l’idea che sia semplicemente un superuomo.
In secondo luogo perché non ci sono soltanto i ragionamenti umani. Ci sono anche quelli divini. E allora perché non ascoltare Dio che risponde a queste domande dell’uomo? In realtà, come ricorda il Concilio, il male e la morte sono un enigma insolubile per l’uomo, se rimane al di qua della fede.
Si possono emettere sentenze, affermando che Dio è sadico, o che la permissione del male è un assurdo. Ma con queste affermazioni non viene data ancora alcuna risposta vitale al problema del male. Solo la fede dà le ali per volare più in alto e comprendere quello che la ragione da sola non può comprendere.
All’uomo, affannato per tali domande, Dio risponde e dice: apri le sacre scritture, attraverso le quali ti ho parlato e ti ho dato la risposta.
Giovanni Paolo II ha detto che “la sacra scrittura è un grande libro sulla sofferenza” (Salvifici doloris, 6). Se apriamo questo libro, vediamo che il male non esiste in sé e per sé. È venuto fuori col peccato, con l’abbandono di Dio. Dio ha creato l’uomo a sua immagine, gli ha dato la più alta dignità: quella di essere libero. E la libertà dell’uomo Dio la prende sul serio. Agisce con lui come fa una mamma col suo figlio: per farlo camminare lo espone al rischio di cadere. Ma se cade, non lo lascia per terra, lo tira su, lo pulisce e gli insegna di nuovo a camminare.
A questo punto il prof. Petix cercò di frenare la sua rabbia preso da una delusione di fronte ad argomenti che non soltanto riproponevano l’appello alla fede per risolvere il dilemma teologico, ma che gli apparivano contraddittori anche all’interno di tale appello. Lei, disse al cappellano, prima riconosce che il male, non dico la morte, che è un fatto naturale, rimane un mistero. Poi per giustificarlo ricorre all’esempio di un Dio che soffre nella sua incarnazione in Gesù dovuta al peccato dell’uomo da cui sarebbe derivato il male. Ma quale peccato? Quello di Adamo ed Eva? E tutto per una mela? Non sia ridicolo. Conosce il racconto del cosiddetto apocrifo dell’Antico Testamento riguardante Adamo ed Eva? domandò il prof. Petix.
Non sapevo che vi fosse questo racconto apocrifo, oltre ai Vangeli apogrifi, rispose il cappellano.
Allora glielo riassumo io. Dio avrebbe creato prima Eva senza trarla da una costola di Adamo, e poi Adamo, che, trovandosi di fronte ad Eva (nuda?) fugge spaventato. Perché? Non si capisce. Allora Dio invia un angelo ad Adamo affinché lo riconduca di fronte ad Eva. E a tutti e due dice: vi sono due alberi. Il primo dà frutti che hanno sapore mutevole e danno l’eternità. Rimarrete l’unica coppia della terra perché siete eterni e non avete bisogno di avere discendenza. Il secondo è l’albero delle mele che dà la conoscenza, il progresso scientifico, nonostante il dubbio e la mancanza di certezze, ma dà anche l’amore, che vi porterà ad accoppiarvi e ad avere discendenza, ma insieme anche la morte. Eva sceglie subito il secondo albero. Evidentemente, visto Adamo, aveva una voglia matta di accoppiarsi e far figli.
Attenzione, dico io, questo non è amore, è istinto animale di accoppiamento. Adamo ha qualche dubbio ma poi fa la stessa scelta di Eva. E io mi domando: avevano tutti e due gli organi genitali? Se li avevano, come potevano scegliere il primo albero? Li avrebbero avuti inutilmente. Come se Dio avesse loro detto: attenzione, se preferite il primo albero, quello dell’eternità, non dovete accoppiarvi facendo uso dei genitali. Altrimenti i frutti della prima pianta non fanno effetto. Ma questo non viene detto. Comunque, per me la scelta di Adamo ed Eva fu sbagliata. Essi si fecero prendere da un desiderio dettato dal presente. Mostrarono di essere solo animali privi di ragione. Non pensarono che avrebbero dato luogo ad una inutile umanità, condannata a vivere nei dubbi, nella mancanza di certezze, che nessuna religione avrebbe potuto loro dare. Ma vi è un’altra contraddizione in questa favola. Prima della scelta del secondo albero Adamo ed Eva avevano delle conoscenze? E quali? Se avessero scelto il primo albero sarebbero vissuti per l’eternità avendo conoscenze sul mondo già creato? Non viene detto. Ma vi è da supporre che, se avessero scelto l’eternità, venendo così equiparati alla natura divina, avrebbero avuto una conoscenza divina del mondo. Sino al momento della scelta avevano delle conoscenze divine? Se non le avevano, solo così si giustifica la scelta del secondo albero. Se avevano già conoscenze divine, come potevano scegliere il secondo albero disposti a perdere le conoscenze divine sul mondo e sulla futura storia dell’umanità, fatta di crudeltà, di guerre, di lutti, di tormenti e di tutto ciò che di negativo la storia umana avrebbe comportato? Essi si comportarono da incoscienti. Da pazzi tutti e due. Se ne fregarono. Preferirono comportarsi da animali non umani. Farsi subito una bella scopata per dare inizio ad una catena di morte. Oltre che pazzi furono anche assai egoisti. Pensarono subito a se stessi e non alle conseguenze delle loro scopate. E poi i loro figli avrebbero avuto una discendenza passando tra vari incesti. Fratelli con sorelle, padri con i figli etc. Che bell’inizio. Nemmeno a questo pensarono. Questa favola è stata interpretata come emblema di una scelta d’amore. Ma che amore! Amore del cazzo! Fu una scelta egoistica dettata dalla mancanza di preveggenza. Io al posto di Adamo avrei detto a Dio: a me per il culo non mi prendi. Prima di tutto non mi hai detto se, preferendo il secondo albero, avrei avuto dopo la morte un’anima immortale. E questo è grave. Almeno questo mi avresti dovuto dire. Perché questa è la massima incertezza della vita. Chi se ne fregherebbe del progresso scientifico, dovuto ad un lungo e faticoso lavoro, di fronte al piacere di farsi delle belle scopate con una donna! Se mi dicessi che dopo la morte vi è una vita eterna, allora che differenza vi sarebbe tra il primo e il secondo albero? Nessuna. Non vi sarebbe alcuna differenza tra il morire giovani e il morire vecchi. Che conta infatti vivere anche 100 anni di fronte all’eternità? Solo con la certezza di una vita eterna dopo la morte potrei accettare di dar luogo ad una umanità mortale, pur al prezzo di una futura storia di essa fatta di crudeltà. E poi perché, se vi fosse una vita eterna dopo la morte - ma tu non me lo vuoi dire - perché questa vita eterna dovrebbe essere limitata all’uomo a non estesa a tutti gli animali, che sarebbero i veri innocenti della Terra, giacché tu mi avresti creato responsabile e dunque passibile di punizione in una supposta vita oltre la morte? Ti accorgi o Dio di essere del tutto illogico? Ma io non posso pensare che esista un Dio privo di ragione, se mi hai dato la capacità di pensare tutto ciò mentre tu stesso sei incapace di prevedere tutto ciò che io già prevedo prima di fare la scelta che mi hai proposto. Sai che ti dico? Che per me non esisti. No. Non puoi esistere. Io non sono stato creato da te. Sei un imbroglione. Tu sei solo una proiezione della mia mente. Io non so come mi trovi ad esistere di fronte ad Eva. Non mi hai nemmeno detto come avresti fatto a crearmi. Da dove mi hai ricavato? Non mi hai detto nemmeno questo. E che cosa facevi prima d’ora? Perché hai creato il mondo solo adesso? Che cosa facevi prima, standotene tutto solo? Eri stufo di rimanere solo? Qual è il motivo che ti ha indotto, dopo una semieternità, a creare il mondo? È stato un tuo improvviso chiribizzo non dettato dalla ragione? Perché se tu avessi la ragione non avresti atteso una semieternità prima di creare il mondo. Altrimenti l’avresti creato dall’eternità. Ma se il mondo fosse coeterno con te non vi sarebbe più bisogno di te. Basterebbe la materia eterna con le sue leggi fisiche. No. Non mi freghi. Tu non puoi esistere. Io sto solo sognando, come ha sognato Eva. Il primo albero non esiste. E nemmeno il secondo. Avresti potuto trovare una terza soluzione. Domandare a tutti e due se avessimo preferito rinunciare sia al primo che al secondo albero in mancanza di certezze di sopravvivenza dopo la morte scegliendo il secondo albero. E allora ti avrei chiesto di farmici pensare a lungo. Perché in tutti e due i casi anche un’eternità di puro spirito mi spaventa. Mi dovrei annoiare per l’eternità come hai fatto tu sinora? Che me ne faccio di un’eternità di puro spirito senza il piacere di farmi una bella scopata con Eva e altre donne dopo? Un’eternità senza corpo non è gioia. È noia. Solo noia. Che hai fatto infatti sino ad ora per una semieternità? Mi trovo qui sulla terra con la sola voglia di accoppiarmi per istinto animale e poi dovrei vivere per l’eternità senza corpo? Ci troviamo tutti e due qui senza sapere da dove siamo venuti. Ma ammesso, e non concesso, che tu esista, sai che ti dico? Lascia vivere da mortali gli altri animali. Essi infatti non sono in grado di porsi la domanda “che senso ha la vita?”. Ma sarebbe stato meglio che tu non avessi creato nemmeno essi. Infatti saranno costretti a soffrire, a mangiarsi tra loro, senza nemmeno avere un’altra vita. Ti sembra bello tutto ciò? Ma perché non hai continuato a rimanertene solo invece di rompere i coglioni a tutti creando il mondo? No. Non è possibile che tu esista. Ma se esisti ti dico: io non accetto né il primo né il secondo albero. Trovami tu un’altra soluzione. Potrebbe essere la reincarnazione? Non lo so. Non sono convinto nemmeno di questo. Altrimenti facci sparire tutti e due ancor prima di accoppiarci, e senza soffrire a causa delle future sofferenze della futura umanità, che creerà maggiori sofferenze anche tra gli animali non umani a causa del suo credere di essere padrona della loro vita, come tu stesso hai voluto che pensasse. Ti prego Dio, se esisti, sparisci e fammi sparire. Me ne faccio nulla della vita e dell’eternità.
Lei è troppo materialista, osservò il cappellano. Non riesce a concepire una vita migliore, di spirito, in cui non si hanno più desideri sessuali. E poi lasci perdere questa favola, che è così lontana dal racconto vero del Genesi, in cui si vuole simboleggiare, con la proibizione di mangiare il frutto dell’albero della conoscenza, la superbia umana che vuole ascendere alla conoscenza divina.
E allora, replicò il prof. Petix, mi spieghi perché per punizione Dio proibì successivamente che Adamo ed Eva mangiassero i frutti dell’albero della vita rendendoli così mortali. Forse sarebbero rimasti immortali se non avessero mangiato i frutti dell’albero della conoscenza? Ma se fossero rimasti immortali, come sarebbe stata possibile una discendenza? Anche tutti i discendenti sarebbero diventati immortali. Anche nel racconto del Genesi vi è una totale illogicità. Si ha l’impressione che il serpente che indusse Eva a mangiare il frutto della conoscenza fosse un subdolo strumento voluto da Dio stesso, che già aveva predisposto la mortalità della coppia Adamo ed Eva. Altrimenti non vi sarebbe stata tutta l’umanità successiva. Come vede, sia il racconto apocrifo che quello del Genesi peccano completamente di illogicità. Non poteva darsi un’immortalità della specie umana. L’albero della vita, cioè dell’immortalità, era soltanto un albero inesistente. Né si dice se dopo la morte Adamo ed Eva avrebbero avuto un’anima immortale. Con essi l’umanità tutta era destinata a vivere nell’incertezza, nei tormenti dei dubbi. E anche in questo caso sarebbe stato meglio per tutti e due non essere creati. Sia con l’apocrifo che con il Genesi si arriva alla stessa conclusione. Un Dio sadico che crea un’umanità con il gusto di lasciarla nell’ignoranza, nel non senso della vita, non distinguendola per questo dall’ignoranza di tutti gli animali. Le sembra giusto tutto ciò?
Convengo che nel Genesi non viene attribuita alcuna immortalità all’anima umana, commentò il cappellano. Ma lei sa bene che l’Antico Testamento è stato poi completato dai Vangeli, dove il discorso è del tutto diverso. Gesù fu la testimonianza, con la sua resurrezione, dell’immortalità dell’anima umana.
E perché Dio avrebbe aspettato tanto tempo per rivelarla agli uomini con i Vangeli? lo interruppe il prof. Petix. Per favore, non cerchi di salvare ciò che non è salvabile. Vi sono tante contraddizioni che costringono a pensare che anche i Vangeli siano pieni di favole.
A parte il fatto che Giovanni Paolo II in un documento del 1996 riconobbe la verità dell’evoluzione biologica, che ha mandato in soffitta la favola di Adamo ed Eva. Dunque lei mi ha citato un papa schizofrenico, che si appella al peccato originale dell’uomo come causa del male ma che poi non spiega quando sarebbe avvenuto e in che cosa sarebbe consistito tale peccato se si accetta l’evoluzione biologica. Lei crede nell’evoluzione biologica? domandò il prof. Petix al cappellano. Se ci crede dovrebbe dirmi allora come si possa conciliare il peccato con l’evoluzione biologica.
I teologi hanno cercato di dare una soluzione anche a questa apparente contraddizione, rispose il cappellano. Il peccato sarebbe consistito nel peccato di una comunità che, in una certa fase dell’evoluzione, si sarebbe rivoltata contro Dio. Peccato che si sarebbe trasmesso a tutta l’umanità per comune partecipazione ad una stessa specie. Certamente il papa non poteva fare riferimento a questa spiegazione per non turbare la fede della gran massa ignorante dei credenti.
Conosco bene questa spiegazione, rispose il prof. Petix, e l’ho citata in un mio libro facendo il nome di tanti teologi che la sostengono, pur riconoscendo che si tratta soltanto di ipotesi volte a trovare una soluzione che accordi la fede con la scienza. Ma essa è come un arrampicarsi sugli specchi, deve riconoscere, se è intellettualmente onesto e non soltanto un raccontatore di favole. E poi, mi dica, in quale fase dell’evoluzione il suo Dio avrebbe infuso nell’uomo l’anima immortale? Era già dotato l’homo erectus di anima immortale? O l’anima immortale sopravvenne solo con l’homo sapiens? Si arriverebbe anche a questo paradosso, che i teologi non hanno tenuto presente. I genitori dell’uomo dotato per la prima volta di anima immortale sarebbero morti privi di anima immortale se morti prima che Dio avesse infuso nei figli l’anima immortale. Ci aveva pensato?
Lei mi sorprende, professor Petix, per questa sua sottigliezza. Veramente non ci avevo mai pensato. Ma non creiamoci problemi irrisolvibili che vanno oltre la ragione. Anche ciò fa parte di tanti misteri.
E lei allora, in conclusione, disse il prof. Petix, vuole risolvere tutto con l’appello ai misteri? Se lei si limitasse a dire che lo stesso cristianesimo è un mistero le darei ragione. Ma non può pretendere di propormi dei misteri come verità. La prego di non continuare a cercare di convincermi facendo appello ai misteri. Se li tenga per sé. E le faccio notare che, data l’evoluzione biologica da una comune origine di tutte le forme di vita, lei si trova ad avere l’obbligo di spiegarmi perché solo l’uomo avrebbe l’anima immortale. Che sarebbe costato al suo Dio estendere l’anima immortale anche a tutti gli animali non umani, veri innocenti della Terra perché immuni da peccato? Infatti i predatori non uccidono per crudeltà, come fa l’uomo, ma solo per motivi di sopravvivenza. E infine ho da osservare che lei si è riferito solo al male come derivato dal peccato umano. Ma io mi sono riferito al male come intrinseco alla stessa struttura della natura. Mi sono riferito, per esempio, a tutte le sofferenze dovute a malattie che affliggono anche gli innocenti, uomini sin dalla tenera età e animali di ogni specie. Anche questi debbono scontare il peccato originale? Io le dico: basta con queste sciocchezze. Non ne posso più. Se io fossi Dio avrei creato un mondo migliore. E poiché non sono Dio ne deduco che Dio non può esistere. Mi consola il pensiero che sto per abbandonare questo mondo che odio. Anche se istintivamente, come animale, mi sento legato alla vita e come uomo ho il terrore di tornare nel nulla. Per questo odio quei due che mi hanno fatto nascere. E per loro egoismo, non per amore, come dicono gli imbecilli. Solo per gli animali non umani la vita ha un senso perché non si domandano che senso abbia la vita. “La fine dell’umanità non sarebbe una tragedia, ma la fine di una tragedia”, ha detto Peter Wessel Zapffe in Sul tragico.

(...)

Lei ha mai letto I fratelli Karamazov di Dostoevskij?
Sì, rispose il prof. Petix. E con ciò che vuol dire?
Si ricordi, continuò il cappellano, quella frase in cui si dice che, se Dio non esiste, tutto è permesso e non ha più senso nemmeno la pratica del bene. L’uomo può diventare anche assassino senza avere alcun rimorso di coscienza. (...) Ecco le conseguenze avutesi dopo Nietzsche, che lei ha citato, e che disse: Dio è morto. Lei è allievo di Nietzsche.
Il prof. Petix ebbe una reazione violenta, prima nell’espressione del volto e poi nel tono di voce. Dostoevskij, disse, era un cristiano a modo suo perché condannava le istituzioni storiche della Chiesa, specialmente quella cattolica, che aveva ritenuto di dover privare l’uomo della sua libertà di coscienza e di doverlo assoggettare ad un potere ecclesiastico perché convinta che solo sentendo un potere coercitivo esterno l’uomo avrebbe potuto frenare la sua natura peggiore. Ma ciò contrastava con il vero pensiero cristiano dei Vangeli, dove ad ognuno viene assegnata una responsabilità di coscienza personale nel rispetto della sua libertà individuale. E comunque, Dostoevskij, nonostante avesse letto Kant nella sua prigionia, aveva capito un bel nulla. Non aveva capito che, se Dio esiste, ogni azione morale del credente non ha alcun merito di fronte a Dio. La sua morale, direbbe Kant, è eteronoma, non autonoma, perché dettata da motivazioni esterne, da opportunismo, dal suo volersi salvare l’anima. La conseguenza sarebbe che nessun uomo che non fosse credente sarebbe capace di un’azione giusta, non dico morale, giacché bisogna distinguere la morale, che vuole la pratica del bene - un oggetto rimasto sempre misterioso nell’impossibilità di definirlo, come si accorse già Platone, che infatti non seppe mai darne una definizione - dalla giustizia, che vuole che nessuno faccia agli altri del male, inteso come danno. Perché ognuno vede il bene a modo suo, mentre il danno è ben visibile da tutti. Infatti ognuno vede il bene solo con i propri occhi, sino ad uccidere credendo di fare del bene, come spesso è capitato nella storia, e capita tuttora, specialmente per fanatismo religioso, come quello islamico, mentre il male può essere visto oggettivamente bastando la vecchia norma della giurisprudenza romana neminem laedere, non danneggiare alcuno. La morale è pericolosa perché richiede l’avvicinarsi nel voler fare del bene. La giustizia, al contrario, richiede il rispetto, che significa distanza. E chi rimane distante non uccide.

(...)

 

 
 

Pietro Melis,già professore di Storia della filosofia presso la Facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Cagliari, ha in un primo tempo indirizzato i suoi studi verso le tematiche del rapporto tra scienza e filosofia nel Seicento. Tra gli altri ricordiamo: Spazio e tempo nella fisica di Cartesio, 1967, (che fu anche la sua tesi di laurea); Studio sulla fisica di Hobbes, 1973; Studio sulla matematica di Hobbes, 1974; Leibniz e la concezione meccanicistica del mondo, 1974; Statica e dinamica. Implicazioni storiche della fisica aristotelica, 1980; Aspetti logici e teologici della rivoluzione astronomica. Da Buridano a Keplero, 1984; Cartesio e Hobbes. Studio sull’ottica, 1985. In seguito, ha orientato la propria ricerca su alcuni temi della filosofia moderna (Al di là del vero e del falso. Saggio di teologia negativa. Da Husserl a Heidegger, 1979; Finalismo ed antropomorfismo nella filosofia contemporanea, 1988), nonché verso lo studio della biologia evoluzionistica (Biologia e filosofia. Origine della vita ed evoluzione biologica. Casualità e necessità, 1999) e allo stesso modo su argomenti di natura morale e giuridica (Morale e diritto, 1995; Morale e diritto nell’antichità, 2000). Nel 2006, ha pubblicato Scontro tra culture e metacultura scientifica: l’Occidente e il diritto naturale. Nelle sue radici greco-romano-cristiane. Non giudaiche e antislamiche. Nel 2010, il libro autobiografico-filosofico Io non volevo nascere. Un mondo senza certezze e senza giustizia. Filosofi odierni alla berlina. Del 2012 è il dialogo teologico Addio a Dio. Nel 2013 esce per Cicorivolta il romanzo, in parte autobiografico, E giustizia infine fu fatta. Nel 2016, ancora per Cicorivolta, esce il saggio politico-giuridico-filosofico Roba da sardi, ve la do io la Sardegna.

Rimane costante, negli ultimi libri del Prof. Melis, l’affermazione del diritto naturale quale unico fondamento universale della giustizia del diritto positivo contro il relativismo culturale dei valori morali.