i quaderni di Cico
 
 

 

TITOLO FUORI CATALOGO

WoW ragasssiii, dopo LA LADRA DI SPAGHETTI e Giulio Einaudi Editore, ecco un'altra bella notizia!!!... i diritti de IL CIELO CAPOVOLTO sono stati acquisiti presso Cicorivolta da Bompiani-RCS Libri SpA.

 


"Il cielo capovolto" già edito da Cicorivolta nel 2009, è stato ripubblicato per BOMPIANI il 9 maggio 2012

titolo:IL CIELO CAPOVOLTO
collana i quaderni di Cico
autore Antonella Gatti Bardelli (prefazione di Pino Roveredo)
ISBN 978-88-95106-46-5
© gennaio 2009 - € 10,00 - pp. 117
in copertina "WOMAN MUST", foto di Federico Franzil.


(brano tratto dalla prefazione di Pino Roveredo)

Se passate sotto il cielo di Antonella, troverete una folla di sbadigli, e dietro, file di abbracci senza braccia, baci senza labbra, e scosse addormentate e incapaci di agitare un angolo di vita o una punta di cuore. Andando, troverete anche la storia di un’alba, un’alba che, col vestito del tramonto, spalancò la bocca dello stupore con la bellezza di un sole mai visto. Un sole tondo come il mondo, che si lascia prendere con le mani, girare sopra un dito, e fermare dove un sogno si può concedere il privilegio del volo.

- Antonella, ma dove vai?...
- Prendo su la vita, e vado in America! -

I love you America! I love you, i love you… Se passate sotto il cielo di Antonella, troverete un tetto di stelle senza nome, e una tempesta di illusioni dove è assolutamente vietato perdere. Bene così Antonella, avanti così Antonella, dai che sei forte, Antonella! Sì, forte, forse troppo….
I love you America! E intanto il sole gira dalla parte sbagliata, il fuoco brucia le distanze, le ambizioni diventano discese, e i sogni si addormentano dietro le spalle. Brava Antonella! Tutto bene Antonella! Vero Antonella?...
Ehi, ma cosa succede, Antonella?...


 

A volte pensiamo di poter raggiungere toccare afferrare prendere la nostra fetta di Felicità. La nostra fetta di “America”. Quella che ci spetta, siamo convinti. E soprattutto crediamo di sapere dove cercarla. Il cammino ci è chiaro e l’unica cosa che ci spaventa è abituarci ad aspettare. Non vogliamo aspettare. Non abbiamo tempo. Così, a volte, le briglie della coscienza ci sfuggono di mano, e sfrecciano e bruciano le strade del nostro personale Tempo. Ma può capitare che veniamo sconfitti da infiniti incontri, o anche soltanto da qualche sberla feroce mal digerita e dal rumore assordante, insostenibile, della delusione che implode in noi. Ed è così che viviamo il cielo capovolto. L’amnesia del nostro innato saper volare. Tanto che, progressivamente delusi nelle nostre aspettative di successo, in preda a vertigini terribili, finiamo per sentirci soli, abbandonati e contratti nel desiderio unico, finale, irrinunciabile, di conoscere ciò che in verità è la malattia della Sofferenza e della mancanza che essa scava nel nostro cuore. Dopodiché, dopo la vera verità, vogliamo e dobbiamo arrivare fino in fondo alla nostra fetta di “America”. Perché solo arrivando fino in fondo al vuoto potremo rinascere, portatori sani dei nostri tratti più autentici, con tutto il peso di un vero trasloco dell’anima dietro le spalle. A quel punto, molto spesso, la nostra rinascita e la nostra nuova Vita saranno state portate in salvo per mano di un Angelo che ha rimesso il nostro cielo a posto.

(Paolo West)


 

(brano tratto da "IL CIELO CAPOVOLTO ")

(...)

uno

18 February 1999
5:45 am

In piedi, sulla terrazza di un appartamento tra Broadway e Bleecker street, uno dei quartieri in voga della city, a due passi dal Greenwich village. È inverno. Febbraio. Sui tetti, il grande freddo di New York è così potente che ti obbliga la rigidità della statua.
È passato molto tempo. Eppure, sembra ieri, sembra adesso.
È appena successo. Sento delle voci. Parlano. Mi toccano. Proiettano nell’aria immagini strane ed inquietanti. Sono immobile, contratta dal gelo. Una maglia grigia, a mezza manica, copre a malapena l’addome asciutto. Il vento rigido e indifferente sostiene il corpo.
Sento l’odore, il rumore dei passi, le impronte sul cemento.
Chi c’è? Non vedo. No. Non vedo nessuno. Una nebbia piena rimanda toni sfumati. Muti, li avverto intorno a me, in un cerchio.
Chi sei, chi siete, cosa volete…
Pallide luci lontane spezzano la notte, distinguo solo un colore: rosso, rosso sangue! Spicca forte, emerge e svanisce sulla pelle livida, trasparente. Panico che sale senza annuncio. Non so dove sono, la realtà mi abbandona lenta, calma, come fosse un lungo soffio.
In una giornata di febbraio, l’inizio. Gelido diciotto febbraio, venerdì sera. Difficile da ricordare, così difficile da affrontare.
Con fatica rivivo quella notte per poter capire il prima, cosa mi ha portato a un simile drammatico epilogo, per comprendere l’arduo tragitto di cura, ma soprattutto, con l’umiltà della rinascita, raccontare a chi ha perso la speranza o a chi crede di averla esaurita, che la vittoria sul dolore è possibile; si chiama abbraccio bacio fatica stanchezza risveglio pillole analisi scrittura o semplicemente poesia. Lei ti esce dal cuore, dal petto dalla pelle dal fiato e se la metti nell’ascolto ti riporta in vita.

Da tre anni vivevo a New York, la sentivo mia. Quando la vidi per la prima volta avevo diciotto anni, poco più che adolescente. Provai un’emozione, una carica, un’energia, un battito così intenso, da volerla stringere senza pensarci, corpo a corpo. Mi sembrava di conoscerla da sempre, di conoscerne i dettagli, le fragilità, la voce. E poi, la vitalità, la potenza, la rabbia. Era deciso: un giorno avrei vissuto al centro del mondo, nella città che non dorme mai, come canta Frank Sinatra. Io, ragazza che proveniva da una piccola città del nord d’Italia, mi volevo trasferire nella grande mela. New York… was a dream. Così alcuni anni dopo, al ritorno da un viaggio d’affari in America - lavoravo per l’azienda di famiglia - conclusi che poteva succedere di tutto nella mia vita ma nel mio futuro c’era un nome: New York! New York! New York!
Sì, dovevo trovare un modo per ritornarci, ma non solo ritornarci, starci e viverci! Vivere in quel paese lontano, lontano dalla mia città di provincia, da stabili affetti, da conosciute persone con conosciute vite ed io ingenuamente credevo fosse lontano anche dalla mia solitudine!

Dopo un mese avevo pronti i bagagli, destinazione AMERICA.
Avrei rinunciato a qualsiasi cosa pur di rendere definitivo quel viaggio. Ero fidanzata, e questo per alcuni poteva essere un freno alla voglia di affermazione. Quella volta i morsi dell’affetto non potevano sfamare la mia fame di arrivare. Sapevo di essere ad un bivio di crescita. Avevo raggiunto il momento decisivo: quel respiro in cui ti accorgi che devi muoverti, agire, che un’esperienza così non ti ricapiterà mai più, e il “mai più” è un’angoscia tremenda da sopportare.
Due anni di rapporto intenso, simbiotico, vissuto con la complicità di due “vecchi adolescenti” avevano fatto crescere in me il bisogno di aprire i miei orizzonti, scoprire nuove possibilità, vedere la vita da un’altra prospettiva. Volevo a tutti i costi soddisfare l’eterna curiosità che fin da bambina mi aveva sempre contraddistinto. Non sapevo allora dove avrebbe portato quella scelta. Non potevo immaginare cosa sarebbe successo, molto tempo dopo, un gelido diciotto febbraio. Non sapevo e non conoscevo ancora la pietra pesante della depressione, disperazione, malattia… Continuavo a sorridere alla mia non-vita come mi aveva insegnato l’estremo bisogno di essere cercata amata approvata. Stavo per scoppiare e nemmeno lo sospettavo, mi riempivo di cose cose e ancora cose luci fuochi immagini di una realtà solo mia, il mondo capovolto come soltanto io lo vedevo… e allora New York era la stella, la soluzione alla noia, il biglietto vincente, lì mi sarei ritrovata, lì mi sarei capita, lì avrei abbracciato finalmente il cielo dall’Empire State building…
“Parto per l’America. Arrivederci, ciao, ci vediamo.
Welcome to New York”
La grande America, l’America a colori, l’America senza dolori.
America America America…

Non riesco ancora a capire quella notte. Impasto scaglie di memoria, ricordi che si possono toccare, che hanno colori, sapori inconfondibili, odori che ti restano addosso per sempre. Frammenti di vita arrivano alla mente uno per volta per difenderti, per rendere il dolore più accettabile. Eppure, quando la memoria li prende per mano insieme, l’impatto è così violento, e aspro, e duro da sopportare, che egoisticamente vorresti solo poter evadere da tutto. Non pensi che qualcuno leggendoli potrebbe riconoscersi nello stesso intollerabile dolore e che ritrovando il proprio passato forse si sentirebbe meno solo. Ma come posso ricordare senza sentire i brividi, senza pensare alle persone care che ho fatto così immensamente soffrire. Se solo potessi cancellare tutto per loro. Solo per loro vorrei far tacere quel dolore. Perché è successo? Da cosa nasceva la mia disperazione? Dove si sono nascoste le immagini che vedevo? America America America…
Chi ha fatto tacere le voci che mi parlavano?
Penso al tempo. Sorrido. Lui fa vedere tutto con una luce così diversa, morbida, soffusa, impercettibile, come fosse successo a qualcun altro.
Ho voglia di urlare. Stefano è un angelo. Mi ha salvato la vita. E invece mi sento inibita, frenata dalla paura di inciampare ancora sulla mia fragilità. Bloccata, colpevole di ciò che è successo. Non dipese da me. Ma mi ostino a scrivere che non dovevo perdere il controllo, perché accettare che non ero cosciente significa ammettere che sono malata. Mi vergogno. A volte penso che non si debba parlare di certe cose, mettersi così a nudo, farsi violentare da occhi estranei. Lo sento quel tocco, punge le vene, torce la carne, scioglie ogni certezza lasciandola naufraga in un mare chiamato paura. Sarebbe meglio nascondersi. Perché non fingo di essere allegra come sempre? Guardo le persone che mi sono accanto e mi accorgo che vorrebbero vedere in me la Antonella di sempre. Ma cosa significa? Che cosa vuol dire? Forse tutti non vedono l’ora che io ritorni la ragazza “spensierata” di un tempo… ma chi voglio prendere in giro, spensierata io, dal di fuori forse, per tutti forse, ma io non ero spensierata mi avete sentito??? OHU! Mi avetesentito???…
Io ero quella della recita facile, SI, quella dei primi banchi di scuola, SI, la prima della classe, SI, la ricca del quartiere che poteva permettersi di andare a New York perché mamma e papà avevano tante conoscenze, SI, ecco l’ho detto io a New York ci sono andata in prima classe e per la legge della vita sono tornata a casa in barella… Ma nessuno osi dire che ero spensierata cristo! New York mi permetteva di essere libera, ecco tutto, libera di essere esattamente quello che ero: NESSUNO!

due

Guardo fuori della finestra. Sto cercando un’immagine, un ricordo, un pensiero da trattenere. Finestra sul mondo capovolto. Stanza d’ospedale ai confini con la realtà, al limite della sanità. In lontananza tutta Manhattan. I colori sciolti di una metropoli al tramonto invadono con forza lo squallore della camera.
Distesa accanto ad un angelo gli accarezzo i capelli. Ruvidi e cortissimi passano sotto le fasce delle mie mani scarne. Il mondo si ferma. Non ci sarà più domani. Cerco di imprimere nella memoria una fotografia, quel momento sfocato, senza contorno, in cui avevo accanto mio fratello, l’unica persona che non temevo, che restava al mio fianco, allora come sempre.
Ricordo ancora quella straziante, assurda telefonata. Era notte fonda a New York, potevano essere le quattro, le cinque del mattino, non lo so. Non ero in grado di distinguere che ora fosse. Io non ero in me.
«Stefano, come stai?». La comunicazione s’interruppe improvvisa. Chi ci ama spesso intuisce, avverte, intravede il pericolo, la minaccia e ci corre incontro. Il telefono prese a squillare senza sosta. Un ultimo alito d’energia in corpo. Sollevo il portatile.
Sei tu. «Che cosa succede Anto, non stai bene?».
«Mi dispiacemidispiacemidispiace…».
«Ho paura ».
«Vedo sangue».
La voce di mio fratello uscì con un grido violento, estremo, disperato.
Una supplica dura immensa gli uscì dalla voce mentre sentiva che me ne stavo andando, che mi stava perdendo.
«Antocosasuccede?Cosasuccede?Cosacazzostasuccedendo?

(...)

 

 
Antonella Gatti Bardelli è nata a Trieste il 13 giugno 1969.
Dopo essersi diplomata in lingue, ha conseguito la laurea in Scienze Politiche presso l’Università di Padova.

Ha vissuto e lavorato a New York fino al 1999.
Il cielo capovolto
è il suo primo romanzo.
Oggi vive a Udine.