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Federica Pistono


Federica Pistono

“La nipote americana” e “Sarmada”.
Inaam Kachachi e Fadi ‘Azzam,
due grandi autori tradotti da
Federica Pistono.

Intervista a cura di Giuseppe Iannozzi


1. "La nipote americana" di Inaam Kachachi, pubblicato in Italia per i tipi Cicorivolta, da te tradotto, Federica Pistono, è un romanzo che potrebbe sollevare dubbi e perplessità, perlomeno in certi lettori disattenti e poco informati. La protagonista, Zayna, di origini irachene ma oramai americana, dopo l’11 settembre, è non poco combattuta: rispettare le idee (convinzioni) che le sono state inculcate da bambina quando viveva coi nonni in Iraq, oppure stare con le forze americane che in Iraq, a loro modo, stanno cercando di (ri)portare l’ordine. Come è stato accolto negli USA "La nipote americana"?

“La nipote americana” di Inaam Kachachi, è stato tradotto dall’arabo all’inglese già nel 2009 e ha ottenuto un discreto successo negli Stati Uniti. Credo che il romanzo sia piaciuto soprattutto a quella larga parte dell’opinione pubblica americana che non condivideva le scelte di Bush e dei neo-conservatori.


2. Zayna decide di entrare nel corpo delle forze americane in qualità di interprete. Ha così modo di tornare in Iraq e di guadagnare un bel po’ di bigliettoni verdi che assicureranno a lei e alla sua famiglia un futuro. Ma una volta in Iraq, presto si rende conto che gli americani fanno il loro sporco dovere in un paese già di suo ridotto ai minimi termini. Suo malgrado, Zayna s’imbatte in scene che la disgustano: i soldati americani sono belli, quasi belli al pari di certi attori, però non ci pensano su due volte a usare la violenza. A tuo avviso, Federica Pistono, "La nipote americana" vuole essere un atto d’accusa nei confronti delle millantate forze di pace?

Non credo che il romanzo voglia essere un atto di accusa contro le forze americane, piuttosto un atto di accusa contro la guerra in generale. È noto come in guerra, l’uomo, indipendentemente dalla divisa che indossa, sia portato a commettere atti bestiali e disgustosi. Certo, una volta sul posto, Zayna capisce finalmente di essere una collaborazionista, all’opera in un esercito di invasori. Il suo dramma è proprio questo: soffre per gli iracheni, ma soffre anche quando a morire ammazzati sono i commilitoni americani.


3. Zayna ha modo d’incontrare i suoi fratelli di latte e sua nonna. E’ l’incontro di Zayna con la nonna a minare la fragile identità della giovane Zayna: “La nonna non esagerava un poco quelle storie, per confondermi le idee e riportarmi sul suo lato del campo?”
E però se Zayna non fosse stata accolta dagli USA quand’era ancora una bambina, è probabile che dalla vita avrebbe ricevuto solo mortificazioni e forse una prematura morte invece di una istruzione e di un computer portatile.

Zayna e la nonna sono condannate a non capirsi, pur amandosi sono separate da un baratro generazionale e soprattutto culturale: Rahma è nata e sempre vissuta in Iraq, Zayna è cresciuta in America, ha adottato le categorie di pensiero occidentali. La nonna fa di tutto per riportare la nipote ‘sul suo lato del campo’, le presenta i fratelli di latte forse proprio perché lei si innamori di uno di loro, come poi in effetti avviene, ma le loro strade sono divergenti.

4. Muhaymen, il Dominatore, un presunto fratello di latte di Zayna, è stato in carcere per quattro lunghi anni. Da comunista che era, dopo la prigionia nel suo animo è rimasto soltanto l’odio per gli americani. Zayna non crede che sia suo fratello. Si prende una sbandata per questo uomo barbuto, per il Dominatore, per l’estremista. Storia d’una passione impossibile o piuttosto metafora per dire che impossibile è disconoscere le proprie radici anche quando queste sono di carattere estremistico?


Credo che per Muhaymen possa farsi lo stesso discorso valido per la nonna: Muhaymen è un iracheno vero, ‘d’oro massiccio’, oltretutto fondamentalista. Cosa può avere in comune con una ragazza americana, intrisa di valori completamente diversi dai suoi, cresciuta in una società multiculturale, al di là di una fuggevole attrazione fisica, o forse anche spirituale? Il fascino dell’amore impossibile sta proprio nel suo carattere proibito, le radici comuni da sole non bastano a unire un guerrigliero fondamentalista a una soldatessa americana.

5. Rahma, l’ottuagenaria nonna di Zayna, è disgustata dagli americani, dagli invasori. Non riesce ad accettare che la nipote vesta l’uniforme degli invasori. Vuole bene alla nipote, ma lei moglie di un colonnello iracheno andato in pensione a soli quaranta anni, ama di più la sua patria. Rahma farà di tutto per avere indietro la piccola Zayna, la nipote che amò visceralmente prima che partisse per l’America. Rahma non regge la vergogna. Ma c’è davvero qualche cosa di vergognoso nell’abbracciare, almeno in parte, l’ideale di libertà americano, che non è perfetto e che però è forse più libertario rispetto a quello di altri stati?

Rahma, ce lo rivela la nipote, ha più di ottant’anni, è vedova e sola: è naturale che voglia indietro la nipotina tanto amata e perduta. Ma la nipotina è ormai una donna di trent’anni vestita della divisa dell’invasore, del nemico: è proprio questa delusione, questo strazio di non poter riavere indietro il passato, a uccidere la nonna. Sente tutta la vergogna di quello che considera un immotivato tradimento. E non si può proprio pretendere, credo, che un’ottuagenaria irachena capisca o apprezzi l’ideale di libertà americana, che per lei si traduce in proiettili vaganti, amici uccisi e carri armati sotto casa!


6. L’abbattimento delle Twin Towers ha segnato la Storia e non solo degli Stati Uniti. Dopo il loro crollo, si è scatenata la caccia al nemico; non senza un violento fanatismo; qualcuno ha persino avanzato una strampalata teoria geopolitica, quella dell’Eurabia. Zayna, sconvolta da quello che è stato l’11 settembre, decide di voler fare qualcosa per il suo paese. Zayna si sente un po’ come “un cane con due case”. Tema centrale de "La nipote americana" è la scissione dell’anima di Zayna che ama l’Iraq, la sua terra natale, ma anche l’America che quindici anni or sono l’accolse quando la sua famiglia fuggì in cerca di pace. Che lezione possiamo trarre da questo romanzo?

Hai detto bene: il tema centrale del romanzo è proprio la scissione dell’anima della protagonista, il suo sentirsi ‘un cane con due case: le ama ambedue, ma non si sente a suo agio in nessuna. Non se la sente più di accettare i valori del mondo iracheno, ma, dopo la guerra, non riesce più a condividere le scelte del governo americano. L’Iraq è la sua patria, ma ha torturato suo padre e gettato la famiglia nel panico, costringendola alla fuga. Anche l’America ormai è la sua patria, ma è un’altra madre-matrigna. Ecco perché alla fine a Zayna non rimane che la depressione, quella che lei chiama la sua ‘angoscia magnifica’. La lezione che forse possiamo trarre da questo romanzo è quella di non dare giudizi affrettati, di non appiccicare alle persone etichette gratuite: spia, collaborazionista, traditore… Certe persone si portano dietro storie terribili che la gente comune, che ha sempre vissuto una vita tranquilla in una casa tiepida, non riesce neanche a immaginare.


7. "Sarmada" di Fadi ‘Azzam, anch’esso uscito per Cicorivolta e da te tradotto, Federica Pistono, è un romanzo di tutt’altro carattere rispetto a "La nipote americana". Tema precipuo del lavoro di Fadi ‘Azzam è la religione drusa che interseca quella che è stata definita “la primavera siriana”. A differenza di altri romanzi, "Sarmada", opera di un giovane scrittore siriano, mette in campo anche molto sesso, talvolta esplicito. Con la “primavera siriana” ci si è anche liberati da una schiavitù, un po’ particolare, diciamo pure così, quella di non poter fare sesso in maniera libera. Forse sbaglio, ma l’autore Fadi ‘Azzam si sfoga non poco nel descrivere gli amplessi sessuali. La prima parte di "Sarmada" è vicina a dei canoni letterari siriani classici seppur commisti a tematiche care a Gabriel García Márquez; la seconda parte del romanzo è invece di stampo molto occidentale. Federica Pistono, che mi puoi dire di "Sarmada", dei Drusi di Siria, della primavera siriana, del sesso come atto rivoluzionario e liberatorio oggi in Siria?

In "Sarmada" possiamo identificare con sicurezza la tematica portante, che è quella di raccontare quarant’anni di storia di questo paesino sperduto sulle montagne siriane. Ripercorrendo le vicende degli abitanti, è inevitabile che si parli dei Drusi, visto che costituiscono la maggioranza della popolazione della cittadina. Una religione, quella drusa, poco conosciuta e minoritaria, con le sue tradizioni affascinanti e terribili, come quella di vietare il matrimonio di una ragazza drusa con un non-druso. È la storia di Hila, il cui matrimonio con un algerino è considerato dai fratelli di lei un’onta da lavare con il sangue. Il sesso è parte della vita, e come tale viene raccontato, con dovizia di particolari. Non credo che sia vissuto come atto rivoluzionario, è Farida, una delle protagoniste, che, essendo una ninfomane, tende a fare sesso con gli adolescenti in modo sicuramente fuori dalle righe, specie in un paesino chiuso e arretrato come "Sarmada". In effetti, l’attenzione al sesso è una peculiarità della narrativa siriana contemporanea, il sesso sembrerebbe un rituale liberatorio per allontanare altri pensieri, la dittatura, la mancanza di libertà, il pugno di ferro del regime… La primavera araba, in realtà, si intravede soltanto in questo romanzo, la cui vicenda si conclude nel 2010.

8. E’ questa una domanda maliziosa, Federica Pistono. Non trovi che "Sarmada", alla fin dei conti, sia un romanzo riuscito a metà? E: come hai affrontato la traduzione di questo non facile lavoro di Fadi ‘Azzam? Ti sei concessa delle licenze nel tradurre "Sarmada", o l’hai portato al pubblico italiano nella sua integrità?

Non mi sono concessa alcuna licenza nel tradurre “Sarmada”. Il compito del traduttore consiste nel dar voce a chi non ne ha, perché parla una lingua che non viene compresa. Chi stravolge il messaggio dell’autore non è un traduttore, è un disgraziato. Se poi il romanzo sia riuscito solo a metà non sta a me dirlo, è qualcosa che riguarda lo scrittore, o coloro cui non è piaciuto il libro.

9. Nella nota introduttiva a "Sarmada", scrivi: “Per quanto riguarda la lingua, ci troviamo di fronte a un caso di diglossia, tanto comune nella narrativa araba contemporanea: mentre la cornice del romanzo è in arabo classico, i dialoghi sono tutti in dialetto siriano, da me resi in un italiano colloquiale.” Potresti approfondire? Come hai reso il dialetto siriano in un italiano colloquiale e quali difficoltà hai incontrato? E, ancora: c’è differenza fra “l’italiano colloquiale” e “l’italo slang”? A mio avviso, “l’italo slang” è più grezzo, diretto e fantasioso nell’adottare neologismi. Non sarebbe stato forse meglio adottare un linguaggio più sporco per restituire al lettore italiano la sgarbatezza del dialetto siriano, dei contenuti espliciti in "Sarmada"?

Sicuramente “Sarmada” è stato un romanzo difficile da tradurre, non per la presenza del dialetto nei dialoghi, ma per lo stile bizzarro e immaginoso dell’autore. Alcuni traduttori scelgono di tradurre un dialetto arabo con un dialetto italiano: io non me la sento di far parlare degli arabi in romanesco, in sardo o in napoletano. Per italiano colloquiale intendo un registro linguistico non elevato, quotidiano, caratterizzato da un lessico semplice, a volte banale, come quello usato nella vita di tutti i giorni. Il dialetto siriano non è affatto sporco o sgarbato. Non credo che il turpiloquio possa arricchire un romanzo.

10. Federica Pistono, quali progetti hai in serbo per il futuro? Nuove traduzioni, e se sì, potresti anticipare quali autori e con quali opere? Leggeremo mai un romanzo tuo, scritto di tuo pugno?

La letteratura araba è la mia passione: spero di tradurre tanti altri romanzi in futuro, in sha Allah! Scrivere un romanzo mio: ne ho già scritti, manca il tempo di rivederli e forse la voglia di rimettermi in discussione.

 


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