iannozzi-cicorivoltaedizioni

 

Metalmeccanicomio
Una storia di amore e odio nella Fabbrica


Intervista a Renzo Brollo a cura di Giuseppe Iannozzi


1) Dunque, Renzo Brollo, “Metalmeccanicomio” (Cicorivolta edizioni) arriva dopo “Racconti bigami”, “Se ti perdi tuo danno” e “Mio fratello muore meglio”. Non è stato un parto facile. Nei ringraziamenti scrivi: “Questa storia, nata molti anni fa da ragionamenti e considerazioni personali, si è arricchita nel tempo di immagini e situazione che l’hanno resa cioè che è. […]”
Potresti entrare nel dettaglio e raccontare quale è stata la genesi di “Metalmeccanicomio”, oggi finalmente un libro?

Non è stato un parto facile perché il rischio di raccontare di persone reali era fortissimo, dato che da venti anni sono un metalmeccanico. Questa d’altronde è stata la scintilla che ha innescato la miccia. Vivendo la fabbrica ogni giorno, ho scoperto un bestiario umano particolarissimo che volevo assolutamente raccontare, anche se non sapevo ancora come, senza farne un diario personale che avrebbe annoiato chiunque, me compreso. I metalmeccanici delle piccole fabbriche a conduzione famigliare vivono, nel bene e nel male, dentro una grande famiglia che comprende le loro. Non sono matricole indistinguibili tra altre matricole, col padrone hanno un rapporto simbiotico. Ho vissuto scene di amore e odio tra titolare e dipendente che non ho potuto raccontare, ma che sono la prova di quanto questo lavoro, almeno fino alla fine degli anni Novanta, fosse passionale come un tango. I posti di lavoro erano nidi, tane dove non si poteva toccare niente, personalizzate, dove le tracce di ognuno erano visibili. Si respirava limatura di ferro e affetto per i propri utensili usurati. Volevo assolutamente rendere questi operai protagonisti di una storia, perché il loro modo di vivere la fabbrica era per me un controsenso, appunto di amore e odio. E poi ho sempre pensato che il loro linguaggio avesse un retrogusto filosofico e romantico. Parole come ruota oziosa, vite imperdibile, vite senza fine, oppure più grunge come la lima bastarda, mi hanno sempre fatto sorridere e pensare, eppure sono definizioni serissime e usate comunemente.


2) Inutile girarci attorno: “Metalmeccanicomio” è un romanzo crudo. E’ quasi impossibile non far riferimento alle parole di Pasolini: “È triste. La polemica contro/ il PCI andava fatta nella prima metà/ del decennio passato. Siete in ritardo, figli./ E non ha nessuna importanza se allora non eravate ancora nati…/ Adesso i giornalisti di tutto il mondo (compresi/ quelli delle televisioni)/ vi leccano (come credo ancora si dica nel linguaggio/ delle Università) il culo. Io no, amici. […] Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte/ coi poliziotti/ io simpatizzavo coi poliziotti!/ Perché i poliziotti sono figli di poveri./ Vengono da periferie, contadine o urbane che siano. […]”. In “Metalmeccanicomio” c’è anche lo scontro fra Daniele, giovane carabiniere, e Robespiero, giovane metalmeccanico. C’è lo scontro fra dei metalmeccanici, di diverse generazioni ma tutti legati da una animalesca quanto umana disperazione, e dei carabinieri poco più che ventenni, alle prime armi, che non sanno che pesci prendere, che non sanno come gestire l’occupazione della Fabbrica. William Golding sottolineò che “L’uomo produce il male come le api producono il miele.” Alla fine si ha quasi l’impressione che sotto accusa non vengano messi i metalmeccanici e i carabinieri, bensì la natura umana. E’ così? Potresti motivare la risposta?

Più che una natura umana geneticamente condannata a fare del male, volevo condannare prima di tutto una imposizione nel modo di vivere il lavoro che ci porta a vederlo come unica fonte di sopravvivenza. È vero che viviamo in una Repubblica fondata sul lavoro, ma io volevo forzare questa definizione trasformandola in “Repubblica obbligata al lavoro”, come se senza quello qualsiasi altro rapporto perdesse senso. E poi volevo esasperare l’inadeguatezza dell’uomo comune all’uso della violenza. Chi non sa colpire, oltre che fare del male, si procura dolore e di solito un colpo inferto provoca una reazione a catena, rendendoci ciechi. Perciò durante questi dieci giorni di Metalmeccanicomio il torto e la ragione non esistono più. Tutti hanno ragione, tutti hanno torto, similmente nessuno ha ragione e nessuno ha torto. Daniele e Robespiero sono due caleidoscopi attraverso i quali guardare lo stesso conflitto ma da due prospettive diverse. Gli operai reagiscono difendendo la loro Fabbrica, i carabinieri reagiscono alla violenza subita sparando nel mucchio.

3) Il signor Celso viene preso in ostaggio dai metalmeccanici e legato sulla sua scrivania. Celso è una sorta di mummia; cinico e indifferente, anche quando rischia di morire. Non spiccica parola. Osserva la disperazione dei suoi dipendenti, la distruzione della Fabbrica, come se tutto ciò non lo riguardasse. Lui è l’imprenditore e ha deciso di portar via la Fabbrica dall’Italia. Ha deciso di togliere il lavoro ai suoi dipendenti per avere della manodopera a dei costi più bassi, all’estero. Chi è Celso? E’ forse il prototipo del tipico imprenditore italiano?

No, non lo è. Diciamo che è la somma dei loro lati negativi. Certo la delocalizzazione è un fenomeno diffuso e pericoloso e per me era il pretesto per il giro di vite alla storia. Durante la stesura del libro il suo profilo è mutato. All’inizio lo immaginavo sì come un imprenditore vecchio stampo, più pratico che burocrate, ma poi il suo modo di vedere i suoi operai è cambiato con l’accelerare degli eventi. Il suo rapporto con Adele, la donna che lo accudisce, lo trasforma in un macchinario della Fabbrica, da rispettare, amare e odiare. Alla fine nemmeno lui è il vincitore, nemmeno lui potrà dire di aver chiuso la guerra a suo favore.

4) Quella che doveva essere una manifestazione pacifica fa presto a diventare qualcos’altro. I carabinieri pensano sia Robespiero il leader, ma così non è. I metalmeccanici ribelli non hanno un capo. Ognuno di loro lotta per sé stesso, per ragioni forse diverse da quella di difendere il proprio posto di lavoro. Sono uomini e donne alla deriva. Ciò nonostante si aggregano a Robespiero e occupano la Fabbrica perché davvero non saprebbero cos’altro fare (della propria vita). Per qualcuno la Fabbrica è una sorta di grembo materno che non si può abbandonare, per altri è un ‘punto’ e basta. In qualche modo, i ribelli della Fabbrica rappresentano i lavoratori italiani, sempre più bistrattati e sceverati dei loro diritti?

Robespiero si ritrova ad essere un faro davvero suo malgrado. Fuggendo verso la fabbrica, dopo gli scontri, scappa verso l’unica salvezza che gli sembra possibile, trascinando con sé anche i suoi colleghi, che lo seguono spaventati. La loro fuga, vista dagli occhi dei carabinieri, sembra invece un segno di colpevolezza. Gli otto operai protagonisti dell’occupazione rappresentano ciascuno a modo suo una figura umana concreta. In verità non volevo parlare di diritti e doveri dei lavoratori, ma volevo concentrarmi sui casi umani e sull’aspetto che un atto violento iniziale possa innescare una reazione a catena dalla quale non si è più capaci di tornare indietro. Mi sono tenuto alla larga anche dal coinvolgere attivamente i sindacati, utilizzandoli il minimo indispensabile, perché non potevano non esserci, ma non era di loro che volevo parlare e non era loro che volevo accusare. Il mio lavoro voleva concentrarsi proprio sulla reazione umana più barbara e dura.

5) I Sindacati. Robespiero non crede che i Sindacati non sapessero della dislocazione della Fabbrica. Non può esserne certo, però il dubbio è forte. Non si fida. E d’altro canto Robespiero non si fida di nessuno, forse nemmeno della sua ombra. Che ruolo hanno oggi i Sindacati all’interno delle pulegge che muovono il mercato del lavoro? Sono ancora utili, o sono piuttosto un peso, un’àncora, o forse l’altra faccia del potere che, in silenzio, appoggia i Poteri dominanti?

I sindacati non sempre hanno un ruolo determinante o utile. Voglio dire, ci sono realtà lavorative che sanno trovare un equilibrio senza che ci sia una figura che faccia da mediatore. Ce ne sono e funzionano bene, perché i conflitti vengono risolti all’interno dell’azienda. Naturalmente ci deve essere intelligenza da entrambe le parti perché tutto funzioni. Il titolare ha bisogno del lavoro dei dipendenti per portare avanti la propria azienda, i dipendenti dal dare il proprio tempo al titolare ricavano lo stipendio per vivere. Mi rendo conto che le mie considerazioni possano risultare generalizzate o prive di mordente, ma davvero ormai vivo nella disillusione. I grandi sindacati sono entità astratte e lontane, non ne sento il bisogno.

6) Robespiero e Daniele si trovano faccia a faccia. Per entrambi fuggire non è possibile. Robespiero deve raccontare la sua versione degli accadimenti. Ha solo Daniele. Una volta in manette, il metalmeccanico riesce a far prigioniero Daniele: s’impadronisce della sua pistola d’ordinanza e lo minaccia di morte. Puntando il ferro contro Daniele, lo obbliga ad ascoltare la sua storia. I due, loro malgrado, cercano di ricostruire l’accaduto, la realtà, intersecando i loro punti di vista. Ma più parlano e più si rendono conto che non c’è modo di portare alla luce una realtà che sia valida per il metalmeccanico e il carabiniere. Capiscono soltanto che i morti sono morti e che neanche la morte appiana la differenza fra un giovane carabiniere a terra e un metalmeccanico caduto per difendere il suo posto di lavoro. Renzo Brollo, sei tu dell’avviso che la vita umana è l’errore d’un dio distratto, che la morte è sempre diversa per chiunque la subisce?

Robespiero e Daniele vivono in un presente parallelo a quello dell’occupazione, nonostante la stessa si sia conclusa con l’uscita dell’ultimo operaio. Ma, volutamente, i due presenti coesistono perché il primo non potrà diventare passato fino a quando non verrà completamente spiegato dallo stesso Robespiero, che deve raccontare la sua storia perché, fino a che non l’avrà detta, non potrà capire se sia stata vera o solo il frutto della sua immaginazione. Detto questo, io non credo che la vita sia un errore e nemmeno un dono. Siamo parte di un meccanismo naturale che ci ha portato a quello che siamo, un’evoluzione lunga miliardi di anni che chissà dove andrà a finire. La morte è un processo naturale e se non fosse che abbiamo inventato la morte violenta potrei dire che, come la Legge, è uguale per tutti. Per il resto delle specie animali credo sia così, accettata come parte integrante di una vita nata e vissuta. Ma noi, che siamo cervellotici, ci siamo inventati una morte personalizzata, che cambia a seconda di chi la subisce. Mi sforzo di pensare alla morte come a un punto di arrivo definitivo, spingendo al massimo per vivere bene senza immaginarmi paradisi o inferni.

7) “Metalmeccanicomio” potrebbe essere (anche) un documento politico, un po’ come quel “Vogliamo tutto” di Nanni Balestrini? O siamo invece di fronte a un documento esistenziale, per quanto, almeno di primo acchito, possa esso apparire?

Non vuole assolutamente essere un documento politico, d’altra parte non avrei né le conoscenze, né il linguaggio per poterne creare uno. Ribadisco che Metalmeccanicomio è una storia umana, la più cruda che mi sia venuta in mente, raccontata da un popolo che mi ha sempre affascinato per il suo modo di vivere, pensare e creare. Volevo metterli dentro a una situazione estrema, difficile e immaginare le loro reazioni, senza coinvolgere in alcun modo la politica.

8) Possiamo dire che “Metalmeccanicomio” è letteratura militante? Ma, oggi come oggi, a tuo avviso, ha ancora senso parlare di Destra, di Sinistra? Esiste ancora l’uomo, o l’operaio, di sinistra? Destra e Sinistra, purtroppo, in questo momento storico sono un po’ come Sodoma e Gomorra, perlomeno questa è la mia impressione.

Non mi sono mai appassionato alla politica, anche se avrei dovuto per il mio bene. Ma purtroppo non riesce a coinvolgermi nemmeno quando ci va di mezzo la mia vita. Non mi sono mai sentito rappresentato, votare per me è sempre stato fonte di indecisione e di imbarazzo. Ho cercato di conoscere i candidati cercando di dimenticarmi la provenienza politica, ma ho imparato che i meccanismi logorano chiunque, togliendogli la buona volontà e lasciandogli la voglia di lasciare una traccia del proprio passaggio. Fosse per me, il politico dovrebbe farlo per vocazione, come per i preti, ricevendo in cambio uno stipendio da impiegato e niente di più.

9) Quale urgenza, intima o socio-storica, ti ha spinto a dare alle stampe “Metalmeccanicomio”?

Metalmeccanicomio è stato scritto tre anni fa. Fino al 2011 non avevo nemmeno intenzione di pubblicarlo, perché continuavo a trovarlo eccessivamente autobiografico, nonostante i fatti crudi e violenti che non ho mai vissuto veramente. Poi, con l’intervento di Matteo Zapparelli che ne ha curato l’editing nel 2012, molti concetti personali sono stati assorbiti dalla storia, che ne ha conservato una traccia impersonale e quindi comprensibile anche per gli altri. Poi, considerata la lunghissima gestazione, ormai decennale, mi dispiaceva non arrivare a vederlo stampato in un libro che avrebbe potuto trovare una sua collocazione.

10) Parrebbe che non esista una via d’uscita, in ogni caso non per Robespiero. E’ lui un agnello sacrificale, un mostro, un rivoluzionario, un disperato, o cos’altro? Quanti uguali a lui ci sono oggi in Italia, prigionieri delle fabbriche?

Robespiero è proprio un agnello scarificale laico, un capro espiatorio e un catalizzatore di disgrazie. Su di lui si concentra il bene e il male, in maniera caotica e violenta. Anche un gesto affettuoso su di lui si trasforma in uno schiaffo. Io credo che persone come Robespiero ce ne siano dappertutto, non solo dentro le fabbriche. Persone che, loro malgrado, attirano eventi e altre persone, diventando protagonisti di avventure più grandi di loro. Ho voluto bene a Robespiero, così come a Daniele. Ho cercato di farli soffrire in eguale misura, senza sbilanciarmi e senza tifare per nessuno.

11) Renzo Brollo, hai in previsione un seguito per “Metalmeccanicomio”? C’è tutto il necessario nel tuo romanzo, ma ci sono anche tanti spunti utili a dare un seguito alle vite di Robespiero e Daniele dopo “la foresta di canne di fucile”!

Non ci sarà un sequel, che io non amo mai nemmeno al cinema. La storia di Metalmeccanicomio è nata ed è morta con Robespiero e Daniele. Gli altri inediti ai quali ho lavorato dopo Metalmeccanicomio hanno attinto da altre fonti e questa volta non ricollegabili alla mia vita. Metalmeccanicomio, insieme a Se ti perdi tuo danno e Mio fratello muore meglio è stato l’atto conclusivo di una trilogia dentro la quale c’era molto del mio vissuto. Dopo di loro, la mia curiosità si è spinta oltre i confini della mia vita. Ho imparato che una bella storia si nasconde dove meno te l’aspetteresti, ma bisogna avere la curiosità di cercare in luoghi che normalmente non avresti mai esplorato.


 

 
 


Metalmeccanicomio